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Putin, tra patriottismo e interventismo: uno statista contro il globalismo

by La Redazione
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putin the national interest

Roma, 27 giu – “Valori come l’altruismo, il patriottismo, l’amore per la loro casa, la loro famiglia e la Patria rimangono fino ad oggi fondamentali e integrali nella società russa. Questi valori sono, in larga misura, la spina dorsale della sovranità del nostro Paese”. Con queste parole Vladimir Putin, presidente della Federazione russa, ha pubblicato su The National Interest, rivista di politica internazionale della destra repubblicana, il breve saggio “Le vere lezioni del 75° anniversario della seconda guerra mondiale”.

Nel 2015 The National Interest aveva pubblicato un interessante articolo di Maria Butina; la Butina sarà poi arrestata nel 2018 dall’Fbi quale presunta agente di intelligence in forza al federale Fsb. Qual è dunque il senso di questa missiva di Putin? Vi è un senso storico, d’accordo, ma uno politico assai più rilevante.

Taluni vi hanno voluto vedere un attacco all’Ue, dovuto all’equiparazione di nazionalsocialismo e comunismo compiuta dal parlamento europeo mesi fa. Ed in effetti suonava talmente strana quella equiparazione che, essendo la Cina marxista-leninista il principale partner geoeconomico e geopolitico di Bruxelles, voler dipingere una Ue a trazione anticomunista lascia il tempo che trova. Dunque, a Mosca, senza sbagliare troppo, si lesse tale equiparazione come russofoba, non come antimarxismo o anticomunismo. E mentre nel mondo occidentale, sulla spinta di una nuova rivoluzione culturale di maoista memoria, si stanno abbattendo le statue dei più svariati personaggi storici, in Germania ovest si inaugura un monumento a Lenin, responsabile del crimine della famiglia imperiale simbolo della “Santa Russia” e della creazione dell’arcipelago Gulag.

Il “revisionismo” di Putin

Putin assume una posizione storicamente revisionista se ben si legge quanto scrive. La responsabilità della seconda guerra mondiale ricadrebbe per il presidente russo sui vincitori della prima, non sui nazisti, e sul Trattato di Versailles con cui si pianificò “l’umiliazione nazionale” del popolo tedesco.

Putin è prodigo di riconoscenza per il supporto americano al popolo russo tra il 1941 e il 1945 ma è evidentemente critico verso la politica estera imperialista di anglosassoni e francesi, il cui fine sarebbe stato quello di spingere la macchina bellica della Germania nazionalsocialista verso oriente. La storia del comunismo in Russia sarebbe per Putin storia di crimini, orrori, “nichilismo”, ma la responsabilità stalinista nel divampare del conflitto non vi sarebbe. Putin qui però sorvola sull’interventismo spagnolo e mediterraneo dell’imperialismo sovietico, che lo stesso Trockij da un lato e, dopo la guerra, Togliatti dall’altro videro come la prova generale della seconda guerra mondiale; come sorvola sull’assai ambigua politica sovietica verso la Polonia, che ebbe costantemente quel carattere di “controffensiva” colonialistica che era negli originari propositi dell’occidentalismo di Lenin da quando, proclamava Tuchacevskij nel luglio 1920, si trattava di “affogare il governo criminale di Pilsudski nel sangue dell’esercito polacco annientato”, per finire poi con il massacro stalinista di Katin’, anche questo oggetto di revisionismo, e con la conquista sovietica successiva al ’45.

Oltre a un senso storico, vi è però un senso politico ben presente in tale documento. E qui Putin diventa radicalmente antirevisionista. Il senso politico è che Putin non tollera che si faccia del negazionismo sul grande sacrificio messo sul piatto del ‘900 dal popolo russo. In base a tale prospettiva la Russia ha attraversato prima una furiosa convulsione rivoluzionaria propiziata da una ideologia notoriamente russofoba, per poi pagare un prezzo inaudito, dai venti ai trenta milioni di morti, nel corso del secondo conflitto.

Negli anni più recenti, l’elite politica e militare di Mosca ha sempre perseguito, con fine strategia, l’obiettivo della sicurezza internazionale, della distensione tra grandi potenze e della risoluzione diplomatica del conflitto. Chiaramente, con gli ultimi eventi che hanno scosso di nuovo il mondo e l’umanità, a Mosca si ha ben chiaro che il “governo invisibile” (Deep State) è di nuovo pronto a tutto pur di non cedere all’ormai inevitabile balance of power, che sta però avanzando, giorno dopo giorno, mediante i fatti e la realtà, ben oltre la rivoluzione sovranista trumpiana con cui i media globali e la sinistra globalista del “governo invisibile” vorrebbero un po’ ingenuamente spiegare i recenti eventi.

Uno statista “rivoluzionario”?

Diviene così un fatto politico estremamente significativo e da meditare che Putin, il presidente della Federazione russa e il simbolico portavoce di un ipotetico fronte conservatore mondiale antirivoluzionario, sia sul piano della politica internazionale l’unico statista rivoluzionario. Trump, per quanto non abbia sino ad ora imposto escalation tragiche e belliciste come quelle degli ultimi presidenti statunitensi, si è però ben guardato dal redimere talune annose e tragiche controversie geopolitiche. Xi Jinping ha messo in atto una geopolitica autenticamente imperialista, come del resto Erdogan. Iran ed Israele hanno reciprocamente giocato di rimessa.

Il conservatorismo putinista ha di contro, in più casi, salvato il mondo dall’irreparabile: si pensi non solo alla vittoria contro il terrorismo islamista ma anche alla moderata saggezza e alla prudenza tattica con cui si è contrastata quella “rivoluzione colorata” a Kiev con cui il Partito Democratico avrebbe voluto scavare la fossa a Mosca. Quel partito che è oggi di nuovo all’offensiva globale.

“C’è Putin c’è la Russia forte, non c’è Putin non c’è la Russia”, ha detto pochi giorni fa il presidente del parlamento Vjaceslav Volodin, consapevole che il popolo sta vivendo una deprimente crisi. Come risponderà “il governo invisibile” della sinistra globalista alla probabile vittoria del presidente russo nel prossimo referendum costituzionale? Questo l’interrogativo che agita terribilmente i sonni del Cremlino. I conservatori russi, nel limite massimo delle loro umane possibilità, cercheranno di evitare alla storia l’orrore di un Terzo conflitto mondiale.

Mikhail Rakosi

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4 comments

Majakovskij 27 Giugno 2020 - 10:03

Bello leggere che voi di CasaPound state diventando filo-comunisti pur di continuare a beccare il supporto rublato di Vladimiro. Continuate così! Avanti gloriose schiere, verso l’ininfluenza!

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alexandro12 27 Giugno 2020 - 11:26

Riporto un lungo passaggio tratto dal libro “Squartamento” di Cioran (uscito 40 anni fa) particolarmente attuale e nel quale si fa menzione dell’orgoglio del popolo russo.

“Nella metropolitana, una sera, mi guardavo attentamente intorno: eravamo tutti venuti da qualche altro posto… Fra noi, tuttavia, due o tre facce di qui, sagome imbarazzate che avevano l’aria di chiedere scusa d’esser lì. A Londra, lo stesso spettacolo.
Le migrazioni, oggi, non avvengono più per spostamenti compatti ma per infiltrazioni successive: ci si insinua a poco a poco fra gli « indigeni», troppo esangui e troppo superiori per abbassarsi ancora all’idea di un «territorio». Dopo mille anni di vigilanza, si aprono le porte… Quando si pensa alle lunghe rivalità tra francesi e inglesi, poi tra francesi e tedeschi, si direbbe che tutti quanti, indebolendosi reciprocamente, avessero il solo compito di affrettare l’ora della comune disfatta, affinché altri campioni d’umanità venissero a dar loro il cambio. Allo stesso modo della vecchia, la nuova Völkerwanderung susciterà una confusione etnica di cui non si possono prevedere nettamente le fasi. Davanti a queste facce così disparate, l’idea di una comunità anche solo appena un po’ omogenea è inconcepibile. La possibilità stessa di una moltitudine così eteroclita suggerisce che nello spazio che essa occupa non esisteva più , presso gli autoctoni, il desiderio di salvaguardare nemmeno l’ombra di un’identità. (…) Non appena un popolo ha condotto a buon termine l’idea storica che aveva il compito d’incarnare, non ha più nessun motivo di preservare la propria differenza, di coltivare la propria singolarità, di salvaguardare i propri tratti in mezzo a un caos di volti.
Dopo aver dettato legge ai due emisferi, gli occidentali sono sul punto di diventarne lo zimbello: spettri inconsistenti, sopravvissuti nel vero senso della parola, votati a una condizione di paria, di schiavi deboli e fiacchi, alla quale sfuggiranno forse i russi, questi ultimi bianchi. Essi hanno ancora un qualche orgoglio, che è il motore, no, la causa della storia. Quando una nazione non ha più orgoglio, e cessa di considerarsi la ragione o il pretesto dell’universo, si autoesclude dal divenire”.

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1900 28 Giugno 2020 - 12:15

vero, proprio così, sei un grande conoscitore del comunismo e della Russia di oggi
https://www.secoloditalia.it/2015/10/putin-nel-centro-mosca-muro-dolore-per-vittime-comunismo/

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1900 Roma 28 Giugno 2020 - 12:20

Ma la contraddizione ancor più incredibile è che Nicola II sia ricordato come una figura positiva, dalla maggioranza dei russi, soprattutto da quando la Chiesa ortodossa russa lo ha canonizzato Santo martire, nel 2000. La popolarità dell’ultimo zar, più ancora che dai sondaggi, è dimostrata dai chilometri di coda dei pellegrini a Ekaterinburg, luogo della sua fucilazione (voluta da Lenin, nel 1918). E dalla protesta violenta e diffusa che ha accolto il film Matilda, su una presunta relazione fra l’ultimo zar e una ballerina. La polizia deve proteggere il regista e le sale da eventuali azioni di militanti zaristi e ultra-ortodossi. In epoca sovietica, sarebbero stati loro le primissime vittime della repressione di regime. Ora la storia sta ribaltando i rapporti di forza, ma la voglia di impero resta.

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