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Rohingya: Bangladesh e Myanmar lavorano per il rimpatrio in due anni

by Alberto Palladino
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Dacca, 16 Gen – I profughi Rohingya saranno rimpatriati in Myanmar in un lasso di tempo “preferibile” di due anni. L’accordo raggiunto a novembre scorso tra il governo del Bangladesh e quello del Myanmar è stato finalizzato oggi. Lo ha annunciato il ministro degli esteri bengalese in un comunicato. L’azione prevederà la creazione di una rete di campi di transizione che andrà ad integrare quelli già presenti in Bangladesh con due nuovi centri di accoglienza dal lato birmano del confine. La nota dell’accordo indica in due anni il lasso di tempo in cui si dovrà completare l’operazione di rimpatrio, anche se ad oggi non c’è ancora una data di inizio delle operazioni.
Nei giorni scorsi in via non ufficiale una delegazione del Bangladesh si era recata in Myanmar per valutare i dettagli tecnici preliminari per la finalizzazione dell’accordo. In primis la questione sicurezza, le gravissime violazioni dei diritti umani perpetrate dai militari e da alcuni gruppi di civili birmani ai danni della popolazione Rohingya hanno steso una cortina di diffidenza tra i due paesi, tanto che in molti ad oggi nutrono dubbi sull’effettiva riuscita di tale progetto. Tuttavia secondo fonti governative il Myanmar ha accettato di accogliere e rimpatriare 1.500 Rohingya a settimana, puntando a rispettare i termini di tempo previsti dall’accordo.

Più di 740.000 Rohingya sono fuggiti nel vicino Bangladesh tra il 2016 e nel 2017. Le autorità civili e militari del Bangladesh hanno dichiarato che la loro intenzione è di non separare i nuclei famigliari ma resta aperta la drammatica questione degli orfani, dei minori non accompagnati e delle centinaia di nuovi nati da abusi sessuali, chiamati “julum” consumati dai militari birmani ai danni delle donne Rohingya . Nei campi la paura di finire nuovamente nel mirino della pulizia etnica birmana è tanta e c’è chi addirittura si dichiara pronto a morire suicida piuttosto che tornare nelle mani dei suoi aguzzini. O c’è chi ha perso troppo per tornare, come Alum: il suo braccio è stato quasi staccato da un proiettile sparato dalle milizie birmane, i medici hanno fatto il possibile ma hanno dovuto amputare. Nel campo di Teknaf dove l’ho incontrato sembrava aver superato lo shock. Sarà pronto a ricominciare?
Alberto Palladino

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