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Se anche i terroristi diventano woke

by Guido Taietti
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A partire dalla fine della guerra fredda la mancanza di un’alternativa ideologica al sistema capitalistico occidentale ha creato un interessante fenomeno, passato piuttosto inosservato: riguarda la tendenza di un discreto numero di gruppi di terroristi ad adattarsi a questo nuovo contesto, modificando il proprio universo simbolico, in modo da rendersi più compatibili con i valori e il pubblico occidentale. Oggi vedremo alcuni esempi di questo re-branding del terrore e cercheremo di capire le motivazioni alla base di alcune scelte.

Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di novembre 2022

La fine delle alternative

Tanto per cominciare, perché un certo numero di realtà rivoluzionarie o terroristiche ha subito cavalcato questo processo trasformativo? Per mera condivisione ideologica? Per una qualche evoluzione (o involuzione) sul piano delle idee? No, parrebbe di no: le motivazioni vanno ricercate sul piano dei problemi materiali e delle relative soluzioni. Ai tempi della guerra fredda, per godere dell’aiuto – diretto o indiretto – o per lo meno della simpatia di uno dei due grandi contendenti, molte sigle terroristiche cercavano di rivestirsi di un manto ideologico che potesse piacere all’Urss o all’Occidente. Il caso più eclatante fu probabilmente rappresentato dal Movimento rivoluzionario castrista, che nacque sostanzialmente come patriottico-populista e poi virò sul socialismo per godere dell’aiuto dell’Urss.

Una volta crollata l’Unione Sovietica, è crollata anche l’alternativa ideologica al capitalismo occidentale. È vero, esistono potenze concorrenti dell’Occidente e in rapporti dialettici con esso, ma nessuna intende porsi come un’alternativa ideologica: la Cina vive la propria peculiare forma di socialismo senza la volontà di diffonderlo. La Russia è un attore geopolitico ma – fatta eccezione per segmenti minoritari al proprio interno in cerca di altrettanto minoritari interlocutori esterni – in questi ultimi decenni non ha cercato di porsi come vera alternativa ideologica (tenterà forse ora, per motivazioni importanti ma contingenti). L’India ancora meno.

In questo senso, molti vertici di sigle di terroristi o microgruppi rivoluzionari hanno compreso che in qualche modo occorreva trovare un’offerta politica e simbolica accettabile dall’Occidente, considerata la concreta possibilità che quest’ultimo, data la sua natura tradizionalmente interventista, potesse considerarli interlocutori credibili concedendo aiuti sia di natura militare, sia di natura politica o – per lo meno – assicurando un buon ritorno mediatico.

Il caso dei terroristi curdi

L’esempio più lampante in quest’ottica è la trasformazione avvenuta nel Pkk curdo, un partito rivoluzionario che ha fatto un uso piuttosto diffuso del terrorismo. Nato come movimento marxista-leninista e poi, a partire dai primi anni Duemila, impegnato in un’enorme trasformazione ideologica all’interno di paradigmi anarcoidi-municipalisti, è culminato oggi in un movimento che ha fatto innamorare fumettisti e centrisocialari nostrani per mezzo di una piattaforma politica incentrata sul femminismo e una concezione dell’economia «sociale ed ecologica». Il leader responsabile di questo re-branding è il noto Öcalan, ex stalinista che alcuni di voi ricorderanno per essere stato catturato a causa di un pasticcio – non si sa quanto involontario – del governo D’Alema nel 1999. In breve: Öcalan approdò in…

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