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Siria, Turchia e Arabia Saudita: la corsa per Raqqa

by Mattia Pase
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raqqa cartello stradaleDamasco, 15 feb – Mentre l’opinione pubblica internazionale viene distratta dai bombardamenti su ospedali e altri obiettivi civili, dei quali almeno uno, quello di Azaz, lascia grandi dubbi sulla sua paternità, visto che la cronache militari parlano di pesanti bombardamenti turchi nella zona, pare iniziata quella che è stata definita la “Corsa per Raqqa” (Raqqa Race), fra Esercito Siriano, supportato dalla Russia, da un lato, e l’asse sunnita guidato da Turchia e Arabia Saudita dall’altro.

Il repentino cambio di strategia dei vertici militari di Damasco, fino a pochi giorni fa concentrati sui quadranti di Aleppo a nord e Daraa a sud, e ora decisi a puntare su Tabqa, e da lì su Raqqa, “capitale” del’autoproclamato Califfato di Al Baghdadi, ha svelato la necessità di anticipare le mosse turco-saudite, a seguito delle dichiarazioni relative a un’imminente azione militare rilasciate da uno dei più influenti generali di Riad, Al Asiri, e dell’intervento turco nelle aree della Siria controllate dalle forze curde dell’YPG (Unità di Protezione Popolare). Nei giorni in cui da Baghdad arrivano insistenti le voci di un prossimo attacco del rinato esercito iracheno verso Mosul, esercito a guida sciita e quindi legato a Tehran, è sembrato inaccettabile, tanto ad Ankara quanto a Riad, che potesse essere l’esercito di Bashar Al Assad a chiudere la tenaglia sulle bande dell’Isis, attaccando direttamente Raqqa. Pertanto, i due Paesi a guida sunnita hanno rotto gli indugi, iniziando a preparare un’azione militare per sconfiggere lo Stato Islamico, con lo scopo di evitare che, agli occhi del mondo, siano l’Iran e i suoi alleati, in altre parole il mondo sciita, a figurare come i distruttori della barbarie jihadista. Uno scenario che darebbe a Tehran, dopo la contestata fine delle sanzioni occidentali e l’avvio del programma nucleare, gli strumenti per diventare la potenza egemone dell’intero Medioriente. Probabilmente, nei loro piani turchi e sauditi, la tregua concordata a Monaco avrebbe dovuto rallentare le operazioni russo-siriane, dando così ai loro vertici militari il tempo per studiare un intervento contro lo Stato Islamico.

La risposta di Assad, che ha ordinato ai suoi generali di rivolgersi verso Raqqa, li ha presi in contropiede, sia per questioni di immagine (sarebbe poco credibile una guerra parallela contro l’Isis da parte dell’asse sunnita e della Siria, che fino a prova contraria ha il pieno diritto di esercitare la propria sovranità all’interno dei suoi stessi confini), sia per ragioni tattiche. E non sarebbe un caso, in questo senso, la direttrice scelta per l’attacco.
La cittadina di Tabqa, infatti, si trova all’estremità meridionale del Lago Assad, un bacino costruito sul fiume Eufrate, e la presa della città da parte dell’esercito di Damasco taglierebbe lo stretto corridoio, oggi in mano allo Stato Islamico, fra l’Eufrate ed Aleppo, ovvero l’unica logica via di comunicazione fra la Turchia e il Califfato. Costringendo pertanto una ipotetica forza militare proveniente dall’Anatolia a passare attraverso territori occupati dal legittimo e ostile governo o, in alternativa, attraverso le aree controllate dai Curdi. I quali curdi, se da un lato hanno tutto l’interesse a vedere eliminata la minaccia dell’Isis, contro cui hanno duramente combattuto da Kirkuk a Kobane, dall’altro non vedrebbero di buon occhio il passaggio dell’arcinemico turco attraverso territori che negli ultimi anni hanno difeso con il sangue. E le azioni congiunte curdo-siriane di Aleppo potrebbero essere proprio un segnale inviato a Erdogan.

Le operazioni dell’esercito di Ankara contro i Curdi, tanto all’interno dei confini turchi quanto in territorio siriano, potrebbero quindi avere un duplice significato: terrorizzare i secondi, facendo loro capire che in nessun caso verrà accettata una qualche forma di autonomia curda, oppure provocare la reazione dell’Ypg, alleato del Pkk (il più potente movimento curdo di Turchia), per ottenere una giustificazione all’invasione della Siria, puntando poi – presumibilmente dopo aver “dato una dura lezione” ai Curdi – verso Raqqa.

La strategia avrebbe di per sè buone opportunità di riuscita, se non fosse che a questo punto la Russia ha tutto l’interesse ad evitare ulteriori ingerenze straniere in Siria, e ha naturalmente gli strumenti per evitarle. Stando a quanto sostengono diversi osservatori, la partita è quasi vinta da Assad e i Russi, per i quali i Soloni dell’Occidente predicevano poche settimane fa un nuovo Afghanistan, sanno di poter passare presto all’incasso dell’intera posta. Faranno dunque il possibile per lasciare che siano i Siriani a sconfiggere Al Baghdadi, continuando a sostenere lo sforzo bellico di Damasco, fino al mantenimento della promessa di Assad, fino alla riconquista dell’intero territorio nazionale.

Mattia Pase

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