La mail datata 3 marzo 2011 ed inviata dall’ormai noto “Sid” (Sidney Blumenthal) all’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, si compone di due parti: nella prima una lunga relazione sulla situazione libica e sui rapporti che intercorrono tra Damasco e Tripoli, nella seconda parte una breve notazione di Lord David Owen, ex segretario agli Esteri inglese. In particolare possiamo leggere che il 21 febbraio 2011 il leader libico richiese formalmente a Bashar al-Assad che gli ufficiali e i tecnici siriani che stavano addestrando le Forze Aeree Libiche fossero posti sotto il comando diretto dell’Esercito Libico e che fosse concesso loro di combattere direttamente contro gli insorti. In data 23 febbraio il Presidente Assad si rivolse al generale Isam Hallaq, comandante in capo dell’Aeronautica Militare Siriana, affinché desse istruzioni ai piloti e tecnici di Damasco presenti a Tripoli, di aiutare il governo libico nella guerra civile.
Lo stesso Gheddafi era convinto, nei mesi precedenti il conflitto, che i ribelli fossero supportati da Stati Uniti, Europa Occidentale ed Israele e che i servizi di intelligence di Francia, Gran Bretagna, Usa ed Egitto stessero addestrando ed equipaggiando le milizie di Bengasi con l’aiuto di consiglieri militari. Timore che, col senno del poi, fu più che fondato come abbiamo avuto modo di vedere.
Questo legame, militare e soprattutto finanziario, tra Damasco e Tripoli apre una nuova chiave di lettura sia per il passato intervento armato in Libia che per quanto sta accadendo tutt’oggi in Siria: se risulta ormai assodato che la Francia e l’Inghilterra vollero detronizzare Gheddafi per i propri interessi economici e petroliferi (ricordiamo la questione del CFA e del controllo delle fonti energetiche libiche), dall’altro gli Stati Uniti eliminando il Rais avrebbero eliminato un alleato della Siria che stava inviando a Damasco i proventi della vendita degli idrocarburi all’Occidente. I due conflitti quindi non sono due fenomeni distinti e paralleli bensì rientrano in un unico abile e perverso gioco di realpolitik che ha portato alla destabilizzazione di due Paesi sovrani che erano uniti da accordi militari e commerciali, e che quindi rappresentavano (e rappresentano) un pericolo per le “democrazie” occidentali: eliminato Gheddafi la Siria sarebbe caduta entro breve e le risorse energetiche libiche sarebbero state a disposizione di nuovi padroni più facilmente gestibili, dato che avrebbero dovuto rendere conto a Francia, Usa e Inghilterra per l’impegno profuso a sostegno della ribellione; caduto Assad, sostenuto finanziariamente dalla Libia, sarebbe stata imposta una “pax americana” che avrebbe rimodulato gli assetti geopolitici tra gli interessi delle monarchie del Golfo e quelli dell’Iran e della Russia. Tutto questo sarebbe già accaduto se Mosca non fosse “scesa in campo” di persona per sostenere Damasco mossa, non tanto dalla volontà di mantenere il legittimo governo siriano (Putin ha sempre sostenuto la necessità che a decidere del futuro della Siria fosse il popolo siriano, viceversa non ha mai sostenuto apertamente Assad a livello politico), quanto dalla volontà di mantere e calmierare lo “status quo” della regione che se destabilizzata potrebbe avere forti ripercussioni sulle questioni interne, inoltre, così facendo, la Russia vede aumentata nel contempo la propria influenza nell’area, strategicamente importante per il controllo e per il transito delle risorse energetiche dirette dal Medio Oriente verso l’Europa.
Paolo Mauri