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Siria, la propaganda jihadista sfrutta ancora i bambini. I dubbi sul papà che ride con la figlia

by Francesca Totolo
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Damasco, 20 feb – Dopo l’annientamento delle ultime sacche jihadiste nella provincia di Aleppo e l’accordo con i curdi per la protezione del territorio sottratto ai terroristi, l’esercito siriano del presidente Bashar al Assad sta marciando veloce verso la vittoria finale e la liberazione di Idlib, ultima roccaforte islamista.

Siriani in festa ad Aleppo – Video

 

Puntuale come un orologio svizzero, ad ogni liberazione delle zone occupate dai terroristi in Siria corrisponde una sempre più vigorosa campagna mediatica orchestrata dai terroristi stessi e dai White Helmets, favorita dei media occidentali che ne diventano i megafoni. E così è successo nei giorni scorsi.

La propaganda qaedista è iniziata il 14 febbraio, proprio il giorno antecedente alla liberazione finale della provincia di Aleppo. Tutte i giornali, le televisioni e le organizzazioni umanitarie hanno parlato della morte della piccola Iman, che ha perso la vita a causa del freddo in un campo profughi di Idlib.

I corridoi umanitari

Nessun media italiano ha riportato però che il governo siriano e l’aviazione russa hanno offerto e strutturato tre corridoi umanitari per permettere ai civili di lasciare la provincia di Idlib prima dell’offensiva militare, durante il cessate il fuoco sottoscritto da Turchia e Russia. I civili sono stati informati dei tre corridoi umanitari e del loro posizionamento grazie a volantini lanciati sui territori occupati dagli aerei russi il 12 gennaio scorso, che riportavano: “La tua sicurezza è quella di lasciare le zone occupate dai gruppi armati e di dirigerti verso i valichi ufficiali che sono stati aperti dal governo (siriano, ndr)”. Il volantino spiegava anche che i tre corridoi umanitari sarebbero stati aperti lunedì 13 gennaio e che il governo siriano avrebbero fornito trasporto e assistenza medica agli sfollati. Purtroppo, fonti interne siriane hanno riferito che i terroristi non hanno permesso alla popolazione civile di raggiungere i tre check-point del governo siriano. Probabilmente, la piccola Iman sarebbe ancora viva se avesse raggiunto uno di quei corridoi umanitari.

Dubbi sull’autenticità del video con papà e figlia che “ridono sotto le bombe”

Il 18 febbraio è rimbalzato su tutte le testate italiane, i telegiornali e i social network degli umanitari (Caritas in primis) il video della piccola Salwa che ride durante un bombardamento su Idlib, un gioco insegnatole dal padre Abdullah Muhammed per sopportare le sofferenze della vita in una zona di guerra che ricorda curiosamente “La vita è bella” di Roberto Benigni.

Nessuno però ha verificato la veridicità del video, la sua provenienza e se fosse l’ennesima arma di propaganda dei terroristi. Prima di diventare virale in Italia, il video è stato condiviso dai media turchi. Il 17 febbraio Abdullah Muhammed è stato raggiunto da un giornalista della testata turca Star a Sarmada, città vicina al confine con la Turchia ancora occupata dai terroristi, dove si è trasferito dopo il bombardamento di Serakib.

Il video della piccola Salwa è privo dei metadati che potrebbero svelare gli autori, mentre il nome del padre è ampiamente diffuso nel mondo arabo, quindi è di difficile identificazione. Però abbiamo scoperto che il primo ad aver pubblicato il video è il giornalista turco Mehmet Algan, che si dichiara amico del padre di Salwa.

Essendo la Turchia alleata dei terroristi che occupano Idlib, è logico interrogarsi sull’autenticità di questo video e del suo sospetto tempismo, diffuso durante l’offensiva finale per la liberazione della provincia. Salwa ricorda la piccola Bana Alabed: da Aleppo allora occupata, la bambina pubblicava ossessivamente post contro il presidente Bashar al Assad che poi venivano diffusi come vangelo dalla stampa occidentale. In seguito si è scoperto che il padre Ghassan era un membro dei gruppi terroristici che stavano occupando Aleppo est. Dopo la liberazione, l’intera famiglia di Bana si è rifugiata dal Presidente Erdoğan in Turchia. Ora Bana sta girando il mondo per presentare il suo libro “Dear World”. Difficilmente potrà fare ritorno ad Aleppo a causa della carriera del padre.

Un altro ragazzino, utilizzato dai jihadisti come strumento di propaganda, è Muhammad Najem residente a Ghouta, allora occupata, con tanto di bandiera dei ribelli al collo. Najem pubblicò un video su Twitter accusando il governo siriano di essere l’artefice di un attacco con armi chimiche. Fu proprio lui l’ispiratore della campagna “tappiamoci la bocca” di Roberto Saviano. L’attacco fu la solita messinscena dei “premi Oscar” White Helmets, per fomentare l’occidente contro il presidente Assad e chiedere un intervento militare delle Forze Alleate (Stati Uniti, Regno Unito e Francia).

Ancora oggi, dopo 9 anni di guerra in Siria, i giornalisti occidentali, italiani in primis, e le organizzazioni sedicenti umanitarie divulgano, senza analizzare le fonti e ignorando le dinamiche geopolitiche, la propaganda qaedista, nemica della popolazione siriana e responsabile di migliaia di morti. Gli strumenti di questa guerra sono sempre i bambini, usati come armi non convenzionali. Chi diffonde questa voluta disinformazione, si macchia le mani del sangue versato dai tagliagole.

Francesca Totolo

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