109
Parigi, 16 dic – Il summit che si sta tenendo in questi giorni a Parigi, nonostante quanto si voglia far credere, ha tutta l’aria di essere una celata azione di controllo del mercato mondiale che si sta attuando, attraverso mezzi non molto chiari, a livello globale. Negli ultimi anni si è ricorso spesso al pretesto dell’inquinamento per imporre un controllo o quanto meno creare un danno a livello economico, attraverso sanzioni ad un paese o industria, come è accaduto di recente con lo scandalo Volkswagen. L’azienda tedesca potrebbe arrivare a pagare una multa di 19 miliardi di dollari a causa di presunte falsificazioni delle emissioni delle auto prodotte.
Modus operandi, quello di screditare un’intera industria per presunti danni ecologici, adottato spesso dagli Stati Uniti soprattutto sul sistema produttivo cinese, da sempre accusato di essere tra i più inquinanti al mondo. Per dimostrare quanto detto, si può citare il IV comma dell’Articolo 2 del tanto osannato Protocollo di Kyoto, dove viene esplicitato che attraverso una “Riduzione progressiva, o eliminazione graduale, delle imperfezioni del mercato, degli incentivi fiscali, delle esenzioni tributarie e di sussidi[…], in tutti i settori responsabili di emissioni di gas ad effetto serra, ed applicazione di strumenti di mercato […], confermando quindi la presenza di interessi economici (a cui è dedicato l’intero Articolo 11) dove, apparentemente, non dovrebbero esserci, all’interno di quest’ultimo infatti (comma 2) viene affermato che “i paesi sviluppati Parti della Convenzione” (paesi che parteciparono alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, tra cui la maggior parte dell’Europa e Stati uniti) “Forniranno, inoltre, ai paesi in via di sviluppo Parti, al fine del trasferimento di tecnologie, le risorse finanziarie di cui essi hanno bisogno per fronteggiare la totalità dei costi supplementari concordati per procedere nell’adempimento degli impegni […]”.
Da tutto ciò si evince come il concetto di sovranità nazionale venga surclassato dai diktat di altri paesi, contravvenendo all’interesse nazionale. Basti pensare che accordi come quelli di Kyoto non furono mai ratificati in Stati Uniti e Cina, i due paesi più inquinanti al mondo. Inoltre, questi accordi sovranazionali non sono vincolati da norme giuridiche a cui bisogna realmente attenersi e quindi si fondano su una “fiducia” reciproca tra le parti e una relativa applicazione delle contromisure arbitraria, che nasconde vere e proprie occultate mosse di mercato. Si può notare come questa attenzione mediatica sull’inquinamento sia, in realtà, uno dei tanti motivi di guadagno per i soliti Paesi che mai hanno realmente fatto attenzione all’ambiente e decidono l’andamento dei mercati attraverso le suddette modalità. E’ chiaro, quindi, come la finanza sia diventata camaleontica al punto da confondersi e mimetizzarsi in altri ambiti in modo da sfruttarli per i suoi scopi.
A volte si usano la guerra, l’inquinamento, le battaglie per i diritti civili e sociali per entrare nella politica di una nazione e volgerla a proprio interesse. In un momento storico dove le lobby decidono i governi, superando le elezioni e il volere dei cittadini stessi, il summit di Parigi sembra solamente l’ultimo tentativo di imporre diktat e linee guide a paesi che ancora conservano un briciolo di sovranità nazionale.
Giuseppe Sbrescia