Da qualche anno uno strano fenomeno affligge la Francia, culla della società multietnica in Europa: i roghi delle chiese cattoliche. L’epidemia degli incendi è passata sottotraccia e spesso è stata censurata dai media mainstream. Le indagini delle autorità, seguite alle devastazioni delle chiese, sovente non hanno portato all’individuazione dei responsabili o, in altri casi, si è parlato di cause accidentali dovute a lavori di ristrutturazione.
Questo articolo è stato pubblicato sul Primato Nazionale di settembre 2021
Roghi delle chiese: da Notre-Dame a Nantes
Il più noto di questi incendi è sicuramente quello che scoppiò nel tardo pomeriggio del 15 aprile 2019 nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi, diffondendosi velocemente da un ponteggio installato sul tetto all’intera struttura. Ci vollero quasi quindici ore per spegnere le fiamme. Il mondo assistette in diretta alla distruzione di Notre-Dame e al crollo della flèche divorata dalle fiamme. Fu la prima volta che l’opinione pubblica internazionale venne a conoscenza dei roghi delle chiese francesi.
A più di due anni dalla devastazione della cattedrale, le cause dell’incendio non sono ancora certe, ma dalle indagini svolte delle autorità francesi nei mesi successivi erano emerse due ipotesi prevalenti: un cortocircuito elettrico o un mozzicone di sigaretta spento male. Solo una cosa è certa: mentre Notre-Dame bruciava, gli islamisti festeggiavano sui social network, scrivendo anche che il rogo era una vendetta di Allah «contro i razzisti colonialisti».
Il giornalista Fausto Biloslavo aveva altresì evidenziato sul Giornale un’incredibile coincidenza. Il giorno precedente all’incendio, Ines Madani, una giovane aspirante kamikaze francese, era stata condannata a otto anni di carcere perché aveva cercato di dare fuoco a un’automobile zeppa di bombole di gas vicino alla cattedrale di Notre-Dame. Anche l’Isis esultava durante l’incendio. Come riportò Site, sito di monitoraggio dell’attività jihadista sul web, per i miliziani dello Stato islamico il rogo di Notre-Dame rappresentava «un colpo al cuore dei crociati» e una «punizione». Nessuna rivendicazione degli estremisti islamici fu però resa pubblica.
Poco più di un anno dopo la devastazione di Notre-Dame – era il 18 luglio del 2020 – un incendio sfregiava un altro importante simbolo della cristianità francese, la cattedrale di Nantes. Immediatamente, la Procura di Nantes aveva aperto un’inchiesta per «incendio doloso» perché tre inneschi erano stati ritrovati in tre punti diversi all’interno della chiesa: uno accanto al grande organo, gli altri due ai lati della navata. Alla fine confesserà un volontario che operava nella chiesa, il rifugiato ruandese Emmanuel Abayisenga, che aveva già ricevuto ben tre ordini di espulsione, mai eseguiti. Era arrivato in Francia nel 2012 come richiedente asilo, richiesta respinta anche nel 2019 perché, come si legge sul Giornale, «in caso di ritorno nel suo Paese, non era stato provato che sarebbe stato vittima di persecuzione». Ma i ricorsi in tribunale avevano permesso al ruandese di rimanere in territorio francese. Al momento dell’incendio della cattedrale era in attesa dell’esito del terzo ricorso. Secondo il procuratore di Nantes, Abayisenga «aveva dei problemi psichici e ha cercato di regolarizzare la sua situazione sulla base di questi problemi». Durante gli interrogatori si era giustificato affermando di aver appiccato il fuoco in un raptus, per il terrore di essere rimpatriato in Ruanda.
Omicidi e stragi
Il 9 agosto scorso padre Olivier Maire è stato trovato morto a Saint-Laurent-sur-Sèvre. Poche ore dopo, è sempre Abayisenga a confessare il terribile omicidio del prete che lo aveva accolto nella diocesi di Mortagne-sur-Sèvre, in Vandea, in attesa del processo per il rogo della cattedrale di Nantes. Dopo l’incendio e la confessione, il ruandese era passato dal carcere a un ospedale psichiatrico, dal quale era stato dimesso in libertà vigilata nemmeno due settimane prima dell’omicidio di padre Olivier Maire. Nel 2016, Abayisenga era stato pure in Vaticano, durante l’udienza del mercoledì nell’Aula Paolo VI, dove addirittura arrivò a stringere la mano a Bergoglio. All’epoca, presumibilmente, almeno la sua prima richiesta di asilo in Francia aveva ricevuto il diniego. Dopo l’omicidio di padre Olivier Maire il ruandese è tornato in un ospedale psichiatrico, perché la sua situazione mentale non sarebbe compatibile con il carcere.
Quello di Olivier Maire non è un caso isolato. In Francia diversi preti e credenti sono stati uccisi da stranieri e dalle cosiddette «seconde generazioni» di immigrati…
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