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Terrorismo islamico, l’Arabia Saudita indica il capro espiatorio: il Qatar. Ecco perché è un pretesto

by Paolo Mauri
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Qatar Arabia SauditaRiad, 5 giu – La notizia è di quelle che fanno saltare sulla sedia e tremare le borse di mezzo mondo: alcuni tra i più importanti Paesi del Golfo Persico hanno rotto le relazioni diplomatiche col Qatar, accusato di finanziare “gruppi terroristici” come al-Qaeda, l’Isis e i Fratelli Musulmani. Arabia Saudita, Egitto, Bahrein ed EAU hanno infatti preso alcune severe misure di emarginazione verso il piccolo emirato del Golfo a maggioranza sunnita (e wahabita) che è sempre stato un alleato di ferro per Riad nella lotta allo sciismo e nello scardinamento dell’egemonia mediatica occidentale attraverso il suo canale televisivo ora divenuto uno dei principali network di tutto il mondo: al-Jazeera.

L’emarginazione di Doha da parte di Riad (e suoi alleati del Golfo) suona un po’ ridicola per la motivazione che ne è stata data. Il piccolo emirato é sì colluso col finanziamento del terrorismo islamico internazionale, ma numeri alla mano rappresenta solo un capro espiatorio per “accontentare” l’amministrazione americana che, solo due settimane fa, aveva chiesto a Riad ed alle monarchie del Golfo di cessare ogni tipo di sostegno economico ai terroristi, con tanto di inaugurazione in pompa magna del Global Center for Combating Extremist IdeologyIn quella occasione Trump, lo ricordiamo, aveva indicato espressamente chi fossero questi finanziatori (Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Oman, Bahrein e EAU) ed ora quelli che sono stati e restano ancora i maggiori sostenitori economici del terrorismo wahabita/salafita indicano il Qatar come agnello sacrificale. Un’abile mossa per tenere buona Washington che comunque non sembra abboccare visto l’invito, alquanto sibillino, rivolto verso gli Stati del Golfo del Segretario di Stato Tillerson a “restare uniti”.

Che il Qatar sia un capro espiatorio e la rottura delle relazioni diplomatiche rappresenti solo una mossa di facciata del Gcc (Gulf Cooperation Council) per prendere fiato davanti alle pressioni diplomatiche americane è evidente a tutti: la sola Arabia Saudita sfruttando l’elemosina, precetto musulmano fondamentale, raccoglie dai 300 ai 500 milioni di dollari l’anno che finiscono direttamente nelle casse di al-Qaeda et similia attraverso finte organizzazioni caritatevoli e con la transazione di banche islamiche, la maggior parte con sede tra Riad e Kuwait City. La famiglia reale dei Saud del resto ha stanziato in tempo recenti circa 100 miliardi di dollari per diffondere il wahabismo nel mondo e la gran parte di questi soldi sono finiti alle moschee salafite di mezzo mondo oltre che direttamente nelle tasche delle milizie islamiche sunnite che stanno destabilizzando Paesi come la Siria, la Libia, lo Yemen; il tutto attraverso collusioni più o meno esplicite con le altre monarchie del Golfo, come il Kuwait da cui sono partiti gli agitatori che hanno fomentato le rivolte in Siria, o con lo stesso Qatar, che sino a ieri era il più grande strumento di proselitismo per la causa wahabita tanto da aver avuto un ruolo di primo piano, col totale appoggio di Riad, nel rovesciamento di Gheddafi in Libia: Doha infatti oltre a convincere la Lega Araba a instaurare la “no fly zone” ha partecipato attivamente ai combattimenti con l’invio di centinaia di soldati e soprattutto stanziando 400 milioni di dollari per i ribelli. Ma l’attivismo qatariota non si limita al martoriato Paese che un tempo fu nostra colonia: Doha è stata molto attiva nel sostegno dei Fratelli Musulmani in Egitto e in Tunisia con l’emiro Hamad bin Khalifa al Thani che ha cercato di colmare il divario tra gli Stati del Golfo e i Fratelli musulmani. Il Qatar ha ospitato importanti figure della Fratellanza per decenni  (basti pensare a Yusuf al-Qaradawi) e durante le rivolte al Cairo ha promesso 10 miliardi di dollari di investimenti una volta che nel Paese fosse ritornata la stabilità, si capisce quindi perché l’Egitto di al-Sisi non si sia lasciato sfuggire l’occasione per emarginare il piccolo ma importante emirato del Golfo.

Suonano quindi molto pretestuose le accuse rivolte al Qatar da Arabia Saudita, EAU e Bahrein di aver fatto apologia al regime di Teheran e aver criticato la retorica anti-iraniana propugnata dagli Stati del Golfo appoggiati da Trump, che sempre durante la visita a Riad ha saputo, diciamo furbescamente, coalizzare le nazioni arabe contro l’Iran e lo sciismo. Una mossa, quella di Washington, non del tutto inaspettata ma di certo non saggia: l’appoggio palese degli Stati Uniti alla causa sunnita/wahabita contro lo sciismo rischia di polarizzare ulteriormente le tensioni internazionali tra Usa e Russia oltre che  spaccare definitivamente il fronte anti-terrorismo in Siria, Libia e altrove. Washington, con una politica che definiremmo del “un nemico alla volta”, sembra quindi aver ottenuto una piccola vittoria che vittoria non è, dato che comunque non servirà a nulla l’emarginazione del Qatar nel quadro del terrorismo internazionale, considerando che i maggiori finanziatori di questo siedono ancora su di un mare di petrolio e comprano armi dall’occidente, e si comprano mezzo occidente.

Paolo Mauri

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