Dunque solo un rifugiato su quattro avrebbe trovato accoglienza sul suolo americano, nonostante i proclami buonisti del presidente Usa: “Immigrati e rifugiati sono linfa vitale per gli Stati Uniti”, aveva più volte ribadito. Le promesse disattese da Obama hanno suscitato l’indignazione delle principali organizzazioni umanitarie americane: “come possiamo dare lezioni di accoglienza agli altri, nel mondo, quando poi noi stessi adottiamo una strategia per dissuadere i migranti dall’arrivare in Usa dal confine Sud”, si chiede Kevin Appleby del Center for Migration Studies. Il tema dell’accoglienza è stato tra i più dibattuti nel recente G7 svolto in Giappone, con il presidente del Consiglio Donald Tusk che ha fatto un appello per la soldiarietà nella gestione dei flussi migratori. Proprio Obama dovrebbe rappresentare una delle “sponde naturali” per i paladini dell’accoglienza, eppure invece ora l’inquilino della Casa Bianca si trova a dover fare i conti con un parte del suo stesso partito che non lo critica apertamente.
A capeggiare un gruppo di 27 senatori democratici che ha firmato una lettera diretta al presidente c’è Richard Durbin: “Siamo profondamente costernati riguardo allo svolgimento lentissimo delle procedure di ammissione dei rifugiati siriani in oltre sette mesi”. Un problema, oltre che “morale”, soprattutto politico per Obama. Sia sul fronte esterno, con il summit dell’Onu previsto per settembre dove la credibilità degli Usa in termini di accoglienza sarà ai minimi, ma soprattutto sul fronte interno, dove con un Donald Trump in forte ascesa, lo stesso Obama aveva parlato del proposito di “respingere i sentimenti anti immigrati”. Se continuerà ad essere lui il primo a non dare l’esempio c’è da scommettere che non ci riuscirà.
Davide Di Stefano
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