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Tutta la verità sul licenziamento di Tucker Carlson

by Valerio Savioli
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tucker carlson, volto

Roma, 28 apr – Tucker Carlson è uno dei volti televisivi più noti negli Stati Uniti, con tre milioni e mezzo di telespettatori il suo programma, il Tucker Carlson Night, è, secondo Forbes, lo spettacolo via cavo più apprezzato del Paese. L’ultima puntata è andata in onda il 21 aprile, mentre lo scorso lunedì la Fox, l’emittente televisiva di riferimento, ha annunciato ufficialmente – utilizzando il legalese conciliante agreed to part ways – l’addio di Carlson alla rete di proprietà del magnate Murdoch: “FOX News Media and Tucker Carlson have agreed to part ways. We thank him for his service to the network as a host and prior to that as a contributor.” Dietro alla fredda ipocrisia dell’annuncio ufficiale da parte di Fox – peraltro senza specificarne le ragioni – al quale per ora Carlson non ha risposto e forse non risponderà probabilmente anche per clausole contrattuali che al momento lo vedono legato alla Fox per ancora 18 mesi, ci sarebbe ben altro. Ma andiamo per gradi, perché il curriculum di Tucker è veramente di tutto rispetto. 

Fuori dal coro

Premettiamo il fatto che c’era d’aspettarselo che la stampa e i media progressisti celebrassero la notizia e, come vedremo, l’auspicio intrinseco è quello di cancellare Tucker. D’altronde le tattiche di ingaggio del politicamente corretto le conosciamo bene e Carlson ha sempre rappresentato una vera spina nel fianco e una voce stonata rispetto alla narrazione principale. Rimane però da far luce sulle ragioni di questa clamorosa separazione e cercare di capire perché, nella patria in cui il tornaconto economico giustifica quasi qualsiasi azione, il Tucker Carlson Night sia stato sospeso. 

Caso Dominon, ricatti e solite etichette

L’ostinazione di Carlson nei confronti del controverso sistema di voto elettronico Dominion ha esposto la Fox a una causa per diffamazione da parte della stessa Dominion Voting. La potenziale contesa giudiziaria – che secondo Donald Trump si sarebbe invece tranquillamente potuta vincere in tribunale – si è risolta recentemente con un accordo tra le parti in cui l’emittente televisiva sborserà la cifra monstre di 787 milioni di dollari nelle casse della Dominon Voting. Si tenga presente che secondo un sondaggio Rasmussen, la maggioranza del paese, ossia il 55% degli elettori americani è convinta che le elezioni del 2020 siano state frutto di un imbroglio.

Secondo alcune indiscrezioni di stampo progressista, ci sarebbero messaggi, e-mail, e conversazioni registrate potenzialmente imbarazzanti per Carlson. E’ il caso di Abby Grossberg, già produttrice per Tucker Carlson Night, la quale nella causa intentata al conduttore riferisce di episodi di sessismo e antisemitismo nei suoi confronti. Con tutta probabilità la prima accusa proverrebbe banalmente da una chat comune di WhatsApp in cui Tucker apostroferebbe ineducatamente l’allora avvocato di Trump, Sidney Powell, mentre la seconda accusa sarebbe frutto di semplici battute informali proferite tra colleghi nello studio televisivo: dalle illuminazioni natalizie, rispetto alle quali la Grossberg si sarebbe trovata a disagio, fino alle critiche da parte di Carlson al noto e intoccabile filantropo, George Soros.

L’accusa di antisemitismo rimane una delle etichette più pesanti a cui far fronte e quando la si usa è per far male sul serio: Jonathan Greenblatt, amministratore delegato dell’ADL (Anti Defamation League), l’organizzazione mondiale “contro l’odio”, nello specifico l’ente (grazie anche al recente Centre on Extremism) che si dice vigilare contro l’antisemitismo, raccogliendo dati e stilando liste, in un tweet si è detto entusiasta del licenziamento di Tucker Carlson. Greenblatt ha accusato Carlson di aver continuato ad offendere, imperterrito, le comunità LGBTQ+, di essere antisemita, razzista, xenofobo e di aver diffuso la teoria della Grande Sostituzione etnica.

Nelle ultime ore è la testata Rolling Stone a sostenere che Fox si sarebbe premurata di tenere da parte tutto quello che sarebbe potuto tornare di utilità (con tutta probabilità stiamo parlando di commenti e battute politicamente scorrette e cose simili, come sostiene, nello stesso resoconto di RS, la stessa Irena Briganti, il cui ruolo era quello di raccogliere materiale potenzialmente compromettente, alla luce del politcally correct e della cancel culture) per ricattare i suoi volti più noti e influenti, come Tucker, e diffonderne i contenuti al comparto mediatico progressista, nel caso che questi volessero abbandonare la nave. Un altro elemento che dovrebbe gettar luce sulle ombre che persistono sul sistema giornalistico e sulle intrinseche dinamiche di potere piramidale che lo reggono e lo mantengo. Per approfondire il meccanismo rimandiamo all’ultimo libro di Marcello Foa, Il sistema (in)visibile, perché non siamo più padroni del nostro destino.

Tucker Carlson, una voce in controtendenza nella lotta per il potere 

Gli Stati Uniti sono un paese particolare, complesso, troppo spesso soggetto ad analisi superficiali. Dietro alla pomposa etichetta della “più grande democrazia del mondo”, si celano equilibri di poteri di tendenza oligarchica e stati profondi capaci di far impallidire anche i più strenui sostenitori delle scuole elitiste; Carlson (così come il tanto idolatrato Trump) altro non è che la manifestazione (o l’utile portavoce) di uno di questi poteri, a lui va il merito di aver affrontato, spesso in coraggiosa solitudine, una serie di tematiche scottanti e forse il nocciolo della questione, anche in vista delle elezioni presidenziali del 2024, sta proprio in questo.

Carlson si è speso nel prodigare una questione molto delicata e ancora dibattuta negli Stati Uniti, quella relativa all’assalto del Campidoglio di gennaio 2021. Tucker, come abbiamo precedentemente riportato, grazie alla nomina del nuovo speaker della Camera, Mc Charty, ha ottenuto migliaia di ore di registrazioni inedite di quel 6 gennaio e ha deciso di pubblicarle al grande pubblico, con l’intenzione di dimostrare che sull’assalto al cuore del potere americano ci siano ancora molte, troppe ombre e che la versione “ufficiale” – ossia quella che ha visto Trump come sobillatore della rivolta – sia molto lontana dalla realtà.

Oltre ai video inediti dell’assalto al Campidoglio, Carlson ha dedicato alcune delle sue fiammanti inveterate contro la spinosa gestione vaccinale e gli effetti collaterali degli stessi vaccini, senza risparmiare stoccate nei confronti del comparto farmaceutico statunitense, la famigerata Big Pharma, ha sostenuto la tesi – geopoliticamente strumentale a determinati apparati – del laboratorio di Wuhan per cui ha spesso chiamato in causa il controverso ruolo che avrebbe ricoperto Anthony Fauci, si è spesso speso, sulla scorta dei più scettici repubblicani (i cosiddetti spregiativamente ultramaga) e indipendenti, sul paradossale ruolo degli Stati Uniti, del comparto militare industriale e della stessa amministrazione Biden rispetto al conflitto in Ucraina e ai suoi possibili risvolti nucleari, cogliendo quasi sempre l’occasione per tirare in ballo il figlio di Biden, Hunter, la sua erratica condotta i cui dettagli sarebbero contenuti nel famoso laptop ora nelle mani dell’FBI e i suoi torbidi rapporti con l’azienda energetica ucraina Bursima, da cui avrebbe preso un lauto compenso mensile.

La goccia che fa traboccare il vaso

Secondo il New York Times che riprende una fonte di Vanity Fair, la decisione sarebbe stata presa venerdì scorso da Lachlan Murdoch, amministratore delegato della Fox Corporation, e Suzanne Scott, amministratore delegato di Fox News Media, a seguito del discorso tenuto da Tucker Carlson all’Heritage Foundation, un influente think tank americano. Ma cosa c’è di specifico, nelle parole di Carlson, da aver fatto imbestialire i Murdoch? 

Durante il discorso, già cliccatissimo su YouTube e su Twitter, Carlson, parlando a ruota libera, ha toccato tematiche scottanti, accennando, con terminologie teologiche, alla guerra in corso in America tra “bene” e “male”, caratterizzata nello specifico dallo scontro suscitato dal transgenderismo e le battaglie sull’aborto al limite del sacrificio umano, di cui già un certo John Kleeves discettava in tempi non sospetti. Con una certa enfasi messianica ha parlato di religione (cristiana) e di scontro “spirituale” ed è proprio quello che avrebbe fatto sobbalzare Murdoch.

“Forse dovremmo prenderci tutti solo dieci minuti al giorno per dire una preghiera al riguardo. Dico sul serio. Perché no? E ve lo sto dicendo non come una specie di evangelista, ve lo sto letteralmente dicendo come episcopaliano, i samaritani del nostro tempo. Vengo da voi dalla posizione teologica più umile e umile possibile. Sono letteralmente un episcopaliano. E anche io ho concluso che potrebbe valere la pena dedicare solo dieci minuti del tuo fitto programma per dire una preghiera per il futuro, e spero che lo farete. […] Ma se mi state dicendo che l’aborto è un bene positivo, cosa state dicendo? Beh, state sostenendo il sacrificio di bambini, ovviamente. Non si tratta, oh, di una ragazza adolescente che rimane incinta, e cosa facciamo al riguardo e alle vittime di stupro. […] Certo, lo capisco e provo compassione per tutte le persone coinvolte. Ma quando il segretario al Tesoro si alza e dice: “Sai cosa puoi fare per aiutare l’economia? Procurarti un aborto.” Bene, in realtà è come un principio azteco. […] Bene, qual è lo scopo del sacrificio di bambini? Bene, non c’è alcun obiettivo politico intrecciato con questo. No, questo è un fenomeno teologico. […] Niente di tutto questo ha senso in termini politici convenzionali. […] Quando le persone o la più grande folla di persone in assoluto, che è il governo federale, la più grande organizzazione umana nella storia dell’umanità, decide che l’obiettivo è distruggere le cose, la distruzione fine a se stessa, “Hey, distruggiamo!” quello a cui assistiamo non è un movimento politico. È il male.”

Pensate che sia finita qua? Allora vi sbagliate, perché ieri sera Tucker è intervenuto direttamente da casa sua, sostenendo l’effimerità e la tendenziosità dei dibattiti sui media a stelle e strisce: “Tra cinque anni non ci ricorderemo nemmeno di averli avuti… eppure, gli argomenti innegabilmente grandi – quelli che definiranno il nostro futuro – non sono praticamente discussi affatto. Guerra, libertà civili, scienza emergente, cambiamento demografico, potere aziendale, risorse naturali. Quand’è stata l’ultima volta che hai sentito un dibattito legittimo su uno di questi problemi? […] Dibattiti del genere non sono consentiti nei media americani. Entrambi i partiti politici, e i loro donatori, hanno raggiunto un consenso su ciò che li avvantaggia – e collaborano attivamente per chiudere qualsiasi conversazione al riguardo. Improvvisamente gli Stati Uniti sembrano uno stato a partito unico”.

Valerio Savioli

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Germano 28 Aprile 2023 - 2:50

Ogni giorno diventa sempre più chiaro che la disperazione della lobby sionista mondiale, che vede la sua fortezza di carte – cioè USA – perdere il dominio del mondo e ciò che questo significherà per quella setta mafiosa, sta cercando in tutti i modi di eliminare chiunque possa aprire gli occhi al gregge mondiale addormentato che si è lasciato schiavizzare negli ultimi 80 anni. Comunque, per fortuna la grande maggioranza mondiale si sta svegliando…

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