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Usa, Biden nasconde ai media le gabbie per bimbi immigrati al confine con il Messico

by Cristina Gauri
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Roma, 24 mar – Ve le ricordate le famigerate «gabbie» dove la polizia di frontiera teneva reclusi i bambini immigrati durante l’amministrazione Trump? Impossibile non ricordarsele: per anni media mainstream, intellettualoidi, commentatori e politici hanno additato il tycoon come «mostro» per la gravissima violazione dei diritti umani schiaffata in faccia a tutto il mondo. Votate Biden, il presidente buono, sotto la cui accogliente egida nessun sopruso antiumanitario verrà mai più commesso. L’America diverrà la Disneyland dell’inclusione! 

Biden mantiene le gabbie per bambini immigrati…

Come ben sappiamo, il buonismo inteso come ostentazione eccessiva di buoni sentimenti «standard» non significa bontà. E’, anzi, il suo contrario. Così, spente le luci del teatrino elettorale e fatto man bassa dei voti degli antirazzisti-immigrazionisti, Biden non solo ha causato la crisi migratoria al confine con il Messico più grave degli ultimi vent’anni, ma ha riaperto le tante vituperate gabbie per la detenzione degli immigrati minorenni.

…ma non si possono fotografare

Con due differenze: ora si chiamano «strutture». Cambia tutto. E l’amministrazione Biden, al contrario di Trump, non permette ai giornalisti di accedere per verificare la condizione dei clandestini detenuti. «L’accesso era stato garantito diverse volte dall’amministrazione Trump, il cui approccio restrittivo sull’immigrazione Biden aveva promesso di ribaltare», fa notare il Washington Post. 

Qualcuno riesce a fotografare le «gabbie»

Nonostante l’ostruzionismo del neoeletto presidente Usa, il rappresentate democratico della città texana di Laredo Henry Cuellar è riuscito a diffondere alcune foto che mostrano le condizioni da lager in cui gli immigrati prigionieri delle gabbie sono costretti a vivere. Ammassati in stanzoni separati da tende di plastica, costretti a dormire su materassi buttati per terra e riscaldati da coperte isotermiche. Il distanziamento per prevenire l’insorgere di focolai di coronavirus è assente, così come i dispositivi di protezione individuale. Gli attivisti denunciano inoltre le precarie condizioni igieniche del luogo. Le fotografie, pubblicate da Axios sono state scattate presso il centro di Donna, in Texas.

Gabbie per immigrati: sistemi disumani

Secondo quanto riportato dalla Bbc, al 21 marzo, gli agenti della US Customs and Border Patrol (CBP) avevano in custodia più di 15.500 minori non accompagnati. Il segretario del Dipartimento dell’Interno, Alejandro Mayorkas, ha detto che questi campi, spesso paragonati a carceri o magazzini, «non sono posti per bambini». Almeno 5.000 bambini sono stati trattenuti per oltre 72 ore. (Il limite legale dopo il quale dovrebbero essere trasferiti alla custodia dei funzionari sanitari dell’Ufficio per il reinsediamento dei rifugiati).  Alla denuncia di Mayorkas fa eco quella di Thomas Saenz, presidente del Fondo educativo e di difesa legale americano-messicano. Saenz ha definito le condizioni dei minori «disumane».

Un pull factor di dimensioni ciclopiche

Il tutto accade nell’indifferenza dei grandi media americani e mondiali (testate italiane comprese), più preoccupati di coprire le incoerenze e le promesse disattese di Biden che di rivelare gravi violazioni dei diritti di migliaia di minori. Promesse che riguardavano un cambio di rotta rispetto all’intransigente amministrazione Trump, e che, come prevedibile contraccolpo, hanno rappresentato un pull factor di dimensioni ciclopiche. La moratoria di 100 giorni sulle deportazioni ha infatti facilitato in ogni modo l’ingresso illegale di clandestini negli Stati Uniti e il loro ammassarsi al confine con il Messico.

Tanto da costringere Biden a fare marcia indietro. «Voglio mandare un messaggio abbastanza chiaro ai migranti: non venite negli Stati Uniti, non lasciate le vostre comunità o le vostre città», perché «vi rispediremo indietro». Tra un bombardamento alla Siria e una gabbia per bimbi clandestini, chissà che non candidino pure lui al Nobel per la pace.

Cristina Gauri

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