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La disputa tra Usa e Cina sul Mar Cinese Meridionale non cessa

by Paolo Mauri
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Mar Cinese Meridionale

In rosso la “Nine Dash Line” rivendicata dalla Cina

Mar Cinese Meridionale, 2 feb – Chi pensava che l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti inaugurasse una nuova era nelle relazioni diplomatiche americane deve ricredersi, almeno per quanto riguarda la situazione in Estremo Oriente. Lunedì scorso, quindi a pochissime ore dall’insediamento, il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha affermato che gli Stati Uniti “Si assicureranno di proteggere i propri interessi nell’area”. Parole che segnano la prima vera svolta diplomatica americana in politica estera, considerando che l’amministrazione precedente non aveva mai affermato esplicitamente la volontà di garantire i propri interessi in Estremo Oriente, e quindi giocoforza di contenere l’espansione cinese, sebbene, come abbiamo ampiamente documentato, si sia mossa in modo collaterale con sorvoli di bombardieri ad affermare il diritto internazionale alla libertà di navigazione, oppure appoggiando indirettamente le rivendicazioni territoriali degli altri Stati coinvolti nella disputa sul Mar Cinese Meridionale, come le Filippine.

La risposta di Pechino alla dichiarazione della nuova amministrazione è stata perentoria: la Cina sostiene la propria indiscutibile sovranità sulla zona in questione. Il Mar Cinese Meridionale sta diventando sempre più un punto caldo della politica internazionale da quando la Cina ha iniziato, qualche anno fa, a costruire isole artificiali, ormai quasi completamente ultimante, dotate di infrastrutture che non sono solamente di tipo civile: la lunghezza delle piste di atterraggio, la presenza di sistemi SAM, e soprattutto le caratteristiche dei porti, ne fanno, de facto, un presidio militare per il controllo di quella parte di mare così ricca di risorse energetiche e strategicamente importante per il controllo dei flussi commerciali. Oltre a questo le isole in quel tratto di mare garantiranno quel tipo di ombrello protettivo atto a farne un bastione sicuro per la nuova forza di sottomarini lanciamissili balistici della marina cinese. Per questo gli Stati Uniti, e le altre nazioni coinvolte, non possono tollerare che Pechino faccia di quel tratto di mare compreso nella “Nine Dash Line” un proprio possedimento territoriale a tutti gli effetti.
La parole del portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying, sono state più che chiare “La Cina sta intraprendendo pacifiche negoziazioni con gli Stati coinvolti nella disputa, e rispetterà i principi della libertà di navigazione e sorvolo al di sopra delle acque internazionali, ma la nostra posizione è chiara e le nostre azioni sono state legali” aggiungendo, particolare non da poco, che “Gli Stati Uniti non sono una parte in gioco nel Mar Cinese Meridionale” andando quindi a stabilire la volontà di non accettare nessun diktat o mediazione proveniente da Washington.
Del resto le parole del portavoce della Casa Bianca hanno fatto solo eco a quanto ha affermato il nuovo Segretario di Stato americano, Rex Tillerson: “Dobbiamo dare alla Cina un chiaro segnale che, primo, debbano cessare la costruzione delle isole, e secondo, il loro accesso alle stesse non deve essere permesso”. Parole che sono suonate come una sorta di ultimatum tanto da far dire a Pechino, attraverso la televisione di Stato, che un eventuale blocco delle isole porterebbe ad un “Confronto devastante” tra le nazioni coinvolte.

Sembrano quindi addensarsi nubi di tempesta in Estremo Oriente, divenuto ormai il centro degli snodi geopolitici mondiali come dimostra l’aumento vertiginoso delle spese militari delle Nazioni dell’area, e come dimostra lo spostamento dei capitali finanziari dalla vecchia Europa. Tempesta che potrebbe scatenarsi nonostante la Cina detenga circa un terzo del debito pubblico americano, del resto non sarebbe il primo caso nella storia in cui un Paese decide di estinguere il proprio debito eliminando fisicamente il contraente.

Paolo Mauri

Approfondimenti:

Cina e Usa: prodromi di un conflitto?

I rapporti tra Usa e Cina

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1 commento

Anonimo 2 Febbraio 2017 - 4:47

Mah, qui sembra quasi che vogliano fare come con la Russia, che da metà 1800 non si sparano un colpo ma fanno cinema come se fosse l’apocalisse… risultato? far aumentare le spese militari e di sicurezza al Giappone, vero obiettivo, il nemico reale, dunque indebolirlo, perchè tutti gli attori in gioco più accorti sanno quanto la vera differenza sia nella visione del mondo e non altro, o meglio tutto il resto è un corollario ed una conseguenza: la Cina che ha una convergenza col Soviet capitalista a direzione americana, Cina che non potrà essere mai un avversario nè un concorrente fin quando ha un sistema economico e sociale con finta produttività, zero capitale, con aziende che hanno il 50% di consistenza patrimoniale in un anno fornita dallo stato (Alvi, ecc.) cosa mai può fare? La ricchezza vera, quella seria, è il modello giapponese, che può dare fastidio, senza contare che l’obiettivo ed il Nemico principale per loro è sempre l’Europa, ed infatti come con le sanzioni contro la Russia, gira che ti rigira il fine è sempre quello di indebolire, impoverire e disarmare con tutti i mezzi (non ultimo, i virus culturali da immunodeficienza) il Padre, l’Europa, a cui in fine non possono perdonare d’esser più antica, essere la radice, l’origine, l’ancoraggio al solido, al Nomos della Terra…

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