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Usa: Sioux, ambientalisti e veterani uniti contro l’oleodotto, ecco cosa c’è dietro

by Carlomanno Adinolfi
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SiouxRoma, 6 dic – Una alleanza di tribù Sioux che costringe l’esercito americano a fermare la costruzione di un oleodotto progettato per passare sotto il territorio sacro della “nazione indiana”. Detta così sembra la trama quasi romantica di un film di riscatto dei pellerossa contro il governo statunitense e in fin dei conti non siamo neanche troppo lontani da quel che è accaduto in questi mesi nel Nord Dakota, con protagonisti i ribelli indiani della riserva di Standing Rock.
Da circa sei mesi infatti una alleanza ribelle di Standing Rock ha provato ad opporsi al passaggio dell’oleodotto della Energy Transfer Partners sotto il lago Oahe, che tra l’altro è la riserva di acqua potabile della riserva. Per raccogliere le migliaia di ribelli provenienti da tutte le tribù, i pellerossa hanno creato un villaggio dal nulla, Oceki Sakowin, occupando a pochi passi
da Cannon Ball il terreno di proprietà pubblica controllato dal genio militare addetto alla costruzione del canale energetico provocando la repressione con numerosi arresti. Il braccio di ferro è durato per sei mesi senza apparentemente ottenere risultati se non l’intralcio ai lavori, ma all’improvviso tutto è cambiato.

Negli ultimi giorni si sono attivati ecologisti, ambientalisti, attori “impegnati nei diritti civici” e soprattutto più di tremila veterani dell’esercito, guidati da Michael Wood e soprattutto da Wes Clark jr, il figlio del generale che sotto l’amministrazione Clinton guidò la missione nei Balcani. E sono stati proprio l’intervento dei veterani e il loro appello a rovesciare la situazione costringendo il genio militare a bloccare tutto. Chiedersi come mai improvvisamente l’attaccamento alla causa Sioux abbia ricevuto un’accelerazione proprio negli ultimi giorni è d’obbligo e la risposta è forse scontata: attori “impegnati nei diritti civili” e figli di veterani dell’amministrazione Clinton che dopo mesi di totale disinteresse si mettono in moto per sostenere una “minoranza etnica” magari con lo scopo di esasperare il conflitto razziale proprio all’indomani della vittoria di Trump è chiaramente sospetto. Così come sospetto è che la vittoria tanto decantata dagli “impegnati” quanto dai veterani dell’amministrazione Clinton, in realtà sia solo temporanea: il progetto infatti è bloccato ma solo in attesa dell’insediamento proprio del nuovo presidente Trump, il quale già in campagna aveva dato parere favorevole alla costruzione – mentre Obama ha dichiarato che comprendeva le ragioni dei Sioux, ma solo dopo aver perso le elezioni e senza aver fatto nulla prima per aiutarli nella causa.

Sospettare che veterani e attori “impegnati” siano contenti più per la patata bollente passata nelle mani di Trump piuttosto che per la sorte del sacro lago Oahe forse non è così tanto campato in aria. Ma probabilmente questo lo sanno anche i Sioux che da mesi combattono per preservare la propria acqua e quel poco di terra che è loro rimasta dal genocidio progressista degli unionisti usciti vittoriosi dalla guerra civile. L’importante, per i Sioux e per chiunque abbia un minimo di cuore e attaccamento a un senso sacrale del popolo e della terra è che anche gli utili idioti che ora propagandano la stessa integrazione che causò il genocidio pellerossa possano essere uno “strumento” del Grande Spirito che difende le terre Sioux.

Nel frattempo, in attesa della decisione di Trump, l’inverno è arrivato a Oceki Sakowin portando le temperature a più di quindici gradi sotto lo zero. Il governatore del North Carolina per questo ha dato ordine ai Sioux di disperdersi portando come scusa il gelo e il pericolo che può portare ai ribelli accampati nelle tende. Secca la risposta dei guerrieri pellerossa: “Il governatore non vive qui da tanto tempo, se crede che noi che ci viviamo da millenni possiamo temere il freddo”.

Carlomanno Adinolfi

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