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Il colonialismo francese e il Kurdistan. Così Parigi prova a giocare la sua partita in Siria

by Francesca Totolo
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francesca totolo dama sovranista

Roma, 24 ott – Si pensa che il Kurdistan sia un progetto disinteressato per concedere al popolo curdo una terra dove non venisse perseguitato e sterminato. Connesso con la creazione del “Grande Stato di Israele”, il Kurdistan fu un progetto occidentale immaginato dalla Francia colonialista a cavallo tra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Il proposito è poi tornato nell’agenda dei presidenti Sarkozy, Hollande e Macron. I curdi non avevano una posizione univoca e ufficiale rispetto all’unificazione del loro popolo sotto una bandiera di uno Stato comune. Infatti, ancor oggi, persistono molte lingue diverse che tracciano una separazione molto netta fra i vari clan curdi, i kurmanji (Turchia e Siria), i sorani (Iraq settentrionale e Iran occidentale), i zazaki (Anatolia) e i gurani (Iran sud-occidentale e Iraq nord-orientale).

Nel gennaio 1921, l’Alto Commissario francese per il Levante, il generale Henri Gourraud, reclutò, con l’ausilio della Turchia, 900 uomini del clan kurdo dei Millis per reprimere la ribellione nazionalista araba ad Aleppo e Raqqa. I mercenari curdi combatterono quindi al fianco dei gendarmi francesi sotto la bandiera che diventerà poi l’attuale vessillo dell’Esercito Siriano Libero, ovvero i cosiddetti “ribelli moderati”. Questo accordo francese-turco-curdo, portò alla conquista di una piccola porzione di territorio siriano, compreso tra Jazireh e Kurd-Dagh, ovvero nell’attuale Afrin.

L’amore di Danielle Mitterand per i curdi

Nel 1936, secondo i documenti raccolti dall’intellettuale libanese Hassan Hamadé, il presidente del consiglio dei ministri francese, Léon Blum, negoziò con il capo dell’Agenzia Ebraica, Chaim Wiezmann, e con i britannici, la creazione di un “Grande Stato di Israele” che si sarebbe esteso dalla Palestina all’Eufrate, comprendente quindi Libano e Siria, all’epoca protettorati francesi. Il progetto fallì a causa della dura opposizione dell’Alto Commissario francese per il Levante, il conte Damien de Martel. A interessarsi nuovamente della questione curda fu il presidente François Mitterrand, che nell’ottobre 1989 convocò una delegazione di membri del Pkk turco all’Eliseo, mentre la première dame Danielle, aperta sostenitrice del governo marxista-leninista cubano e fondatrice della fondazione France Libertés, organizzò la conferenza intitolata: “I curdi: l’identità culturale, il rispetto dei diritti dell’uomo”.

Nel 1992, la signora Mitterrand si recò nel Kurdistan iracheno con l’allora ministro della Sanità e degli aiuti umanitari, Bernard Kouchner (fondatore di Medici senza frontiere), per appoggiare la creazione di un governo curdo nella zona occupata dall’esercito anglo-americano, in seguito alla Guerra del Golfo contro Saddam Hussein. Qui Danielle sfuggì ad un attacco terroristico che all’epoca fu addebitato al regime iracheno.

L’impegno come “madrina dei curdi” della signora Mitterrand ebbe così tanto risalto da essere oggetto di un ordine del giorno presentato dal Ds Gian Giacomo Migone al Senato italiano nel 1995. Ancora oggi, la fondazione France Libertés, ora presieduta Gilbert Mitterrand, figlio dell’ex presidente francese, riserva la maggioranza dei propri fondi ai progetti nel Kurdistan iracheno. Secondo quanto riportato dal giornalista francese Thierry Meyssan, nel 2011 durante la presidenza di Nicolas Sarkozy, il primo ministro francese Alain Juppé e l’omologo turco Ahmet Davutoğlu, siglarono un accordo segreto per creare il cosiddetto Sunnistan, a cavallo dell’Iraq e della Siria con un’organizzazione legata al Daesh, e un Kurdistan, anch’esso a cavallo tra i due paesi. Il loro progetto ebbe anche l’approvazione d’Israele e del Regno Unito.

Il ruolo della Francia nel conflitto siriano

Tre anni dopo, il presidente François Hollande ricevette ufficialmente all’Eliseo Recep Tayyip Erdoğan, e ufficiosamente Salih Muslim, co-presidente curdo del Partito dell’Unione Democratica, sostenitore dell’indipendenza del Rojava dalla Siria. Come è noto, proprio in quel periodo, i soldati curdi cessarono di riconoscersi come cittadini siriani e iniziarono la guerra per la conquista di un proprio territorio, con la ovvia protezione delle forze alleate (Stati Uniti, Francia e Regno Unito). Non si può non sottolineare che il nord-est della Siria è la fonte principale di petrolio del Paese.

Nel 2015, infatti, Washington crea a tavolino l’esercito, prevalentemente curdo, delle Forze Democratiche Siriane (Fds/Sdf), colpevole dell’espulsione delle famiglie arabo-siriane e di quelle cristiano-assire dai territori occupati del nord della Siria. La maggioranza di quelle famiglie (circa 3,5 milioni di siriani) sono state ospitate nei campi profughi in Turchia, e sono diventate poi strumento di ricatto usato da Erdoğan contro l’Europa.

Nel nord della Siria sono difatti presenti milizie provenienti dalla Turchia e dall’Iraq, i cosiddetti “ribelli moderati” e i terroristi dell’Isis. L’arcivescovo cattolico-siriaco di Hassaké-Nisibi, monsignor Jacques Behnan Hindo, dichiarerà di aver sentito più volte leader curdi parlare di un piano di estirpazione dei cristiani del Rojava e della volontà di cambiare la demografia del Paese. Tornando alla Francia e ai suoi interessi neocolonialisti in Siria, l’Eliseo è ancora presente nel nord della Siria con ben 9 basi militari e di intelligence, otto delle quali impiantate da Emmanuel Macron oltre all’ex cementificio Lafarge.

La mappa è stata pubblicata dalla Turchia per comprovare la presenza ancora attiva di Parigi, dopo il disimpegno americano voluto dal presidente Donald Trump.

Nel febbraio del 2018, Vasily Nebenzya, rappresentante permanente della Russia presso le Nazioni Unite, annunciava che i curdi siriani avevano concesso l’amnistia a 120 miliziani dell’Isis, assoldandoli in seguito nell’Unità di protezione nazionale (Ypg). Ora il fronte si è completamente capovolto: i curdi, abbandonati dagli alleati occidentali e alla mercé dell’esercito turco (alleato sul campo con i cosiddetti “ribelli moderati”), hanno acconsentito alla pacificazione nazionale con il governo di Damasco, ricevendo quindi l’appoggio militare dell’esercito arabo siriano.

Nel frattempo, dalla Francia arrivano rassicurazioni, non richieste, dal ministro degli Esteri Jean-Yves Le Drian, il quale ha affermato di avere il controllo sulla situazione in Rojava in merito agli jihadisti arrestati e detenuti nelle carceri locali, chiedendo una riunione d’emergenza della coalizione creata per combattere lo Stato Islamico. Stando a tali dichiarazioni, sembrerebbe così che la Francia non abbia ancora abbandonato le sue mire neocolonialiste e voglia ancora interferire all’interno del territorio sovrano siriano.

Francesca Totolo

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