Roma, 10 set – L’antifascismo è morto. Lo hanno ammazzato i partigiani dell’Anpi, che danno del «fascista» a Trump e Berlusconi. Lo ha seppellito Chiara Ferragni, che attribuisce una «cultura fascista» ai quattro coatti di Colleferro. Se il fascismo può diventare letteralmente tutto, allora non è più niente, e perciò l’antifascismo diventa nulla più di una moda, un brand da dare in pasto all’influencer di turno. Che lo addenta, lo trangugia e lo risputa. Dalle fabbriche agli atelier, dalle officine ai set fotografici. Da Che Guevara a Baby K.
La «cultura fascista» di Colleferro
In questo turbinio di fazzoletti rossi e paillettes, tutto diviene rarefatto, sfuggente, impalpabile. La «cultura fascista» evocata dalla Ferragni per commentare i bori di Colleferro, ovviamente, non ha nulla a che vedere con Giovanni Gentile, Luigi Pirandello o Guglielmo Marconi. È solo un guazzabuglio che mescola razzismo, machismo, patriarcato, violenza e chi più ne ha più ne metta. Un’accozzaglia di luoghi comuni senza fondamento. E pensare che la Ferragni, alla fin fine, trae beneficio proprio da questa cultura patriarcale che lei disprezza e chiama fascismo: se non fosse attraente e sessualmente desiderabile per una massa di «patriarchi», ora probabilmente starebbe a servire panini da McDonald.
Gli influencer e l’omega della civiltà
Ma il problema è più ampio, e va ben oltre Colleferro e l’antifascismo da atelier. Questa moda di far parlare vip e influencer sui grandi temi della politica è nefasta. Perché abbrutisce il dibattito e lo abbassa al livello dei lombrichi. Perché dovrebbe interessarci l’opinione di gente che vive sotto una campana di vetro? Che ce ne facciamo delle considerazioni di una persona che non esce mai dalla sua bolla sociale, dalla sua comfort zone? Assolutamente nulla, è chiaro. Gli unici che ci guadagnano sono i signori del capitale, che non vedono l’ora di mettere il loro marchio sulla maglietta di Greta Thunberg o sulla borsa di Diletta Leotta. E così anche la politica diventa un business, una grande operazione di marketing fatta di ecologismo d’accatto e antirazzismo da Super Bowl. Eccolo qui, signori, il mondo che avete sempre sognato. Un mondo dove l’antifascismo è un brand e Chiara Ferragni è il suo profeta.
Valerio Benedetti
4 comments
E BASTA !!!!
I negretti ed i loro piagnistei HNNO ROTTO I COGLIONI !!!!!
Ed il Fascismo , CHE CAZZO C’ENTRA ????
Quattro idioti tatuati fanno una rissa , EMBE’ ?????
Il FASCISMO è :
ORDINE e DISCIPLINA
SANGUE e SUOLO
SANGUE e ONORE
dove per SANGUE s’ intende quello VERSATO sulla NOSTRA TERRA dai NOSTRI PADRI ……
da cui il nome PATRIA !
DIO PATRIA e FAMIGLIA …. mi fermo, ma il NOBILE elenco è lungo .
Eh , ma le leggi razziali ….. corrispondono all’ attuale MES ….
i Crucchi ordinano e noi (purtroppo) s’ obbedisce … ieri al Caporale austriaco , oggi alla Merkel !
nulla hanno a che fare col FASCISMO , solo col governo Italiano del 1938 e furono firmate da Vittorio E, di Savoia …. Capo dello Stato (e non proprio un Camerata ….)
[…] Da Blm a Colleferro, l’antifascismo ormai è un brand per vip… […]
[…] le donne, con le droghe e con l’approccio alla vita in generale. Lo ha scritto benissimo stamattina Valerio Benedetti sulle pagine del nostro giornale: «La “cultura fascista” evocata dalla Ferragni per […]
[…] le donne, con le droghe e con l’approccio alla vita in generale. Lo ha scritto benissimo stamattina Valerio Benedetti sulle pagine del nostro giornale: «La “cultura fascista” evocata dalla Ferragni per […]