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Culle vuote, problema irrisolto: come superare l’inverno demografico?

by Marco Battistini
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Roma, 23 dic – É passata esattamente una settimana da quando Elon Musk dal palco di Atreju ha ricordato al nostro paese che – semplicemente – senza figli una nazione si estingue. Lo abbiamo già scritto lunedì scorso: il concetto del discusso imprenditore sudafricano non fa una piega. Novello segreto di Pulcinella, in Italia, come nel resto d’Europa, dobbiamo fare i conti con l’irrisolto problema delle culle vuote: come fare per superare l’inverno demografico?

Tasso di fecondità, un problema europeo

Sia ben chiaro, queste poche righe non hanno presunzione di esaustività. L’intento è quello di riproporre all’attenzione del lettore l’annosa questione e consigliare – dalla nostra visione del mondo – spunti per possibili soluzioni. Risposte che dovranno essere innanzitutto politiche. Partiamo da una chiara premessa: non stiamo parlando di un processo ineluttabile. La questione coinvolge tutto l’Occidente è vero. Ma a noi – per ovvi motivi – interessano le statistiche europee e quanto possono (o meglio, dovrebbero) fare i nostri esecutivi. Secondo l’Eurostat nel Vecchio Continente il tasso di fecondità totale si attesta su una media di 1,53 figli per donna. Dato storicamente in diminuzione e ben al di sotto di quel 2,1 indicato come livello di sostituzione.

Italia: situazione drammatica

In Italia se vogliamo va ancora peggio. Con un TFT pari a 1,25 i numeri rispetto ai primi anni cinquanta (2,3) si sono praticamente dimezzati. Soprattutto se pensiamo che nel 1964 la Turrita raggiungeva un onorevole 2,7: dal Sessantotto in avanti il drastico calo. L’età media? 32 per le madri, quasi 36 quella dei padri italiani. Per quanto riguarda le primipare dai 25,9 d’età del 1952 siamo passati ai 31,4 anni odierni. Facciamo sempre meno bambini e – con tutto quello che ne comporta, anche in termini di spesa sanitaria – sempre più tardi

Tornando nel Vecchio Continente il primogenito, per una donna, arriva mediamente sulle trenta primavere. Maggiormente virtuoso in tal senso l’Est Europa dove si diventa genitori anche con un lustro d’anticipo rispetto – ad esempio – alla penisola italica e a quella spagnola.

Le statistiche, oltretutto se lette insieme alle complicazioni proprie dell’immigrazione irregolare e incontrollata, non mentono. Di questo passo i popoli europei rischiano – fisicamente – di scomparire. Allo stallo demografico dobbiamo poi aggiungere un certo decadimento sociale, spirituale e morale. Ma anche economico. Sì, perché la ricchezza di questa parte del globo – o meglio, la sua illusione – tanto deve al consumismo sfrenato. Un modello che in Italia da circa vent’anni significa diminuzione dei salari reali, ridimensionamento del tasso di risparmio e crollo degli accantonamenti. Ecco, la prima leva su cui – nel breve periodo – si dovrebbe operare per superare l’inverno demografico è proprio questa: volgarmente, mettere soldi nelle tasche di chi fa figli.

Culle vuote, spunti per superare l’inverno demografico

In tal senso risultano davvero interessanti le proposte maturate un paio d’anni or sono dal progetto “Reddito Nazionale di Natalità”. L’iniziativa verte su una carta di pagamento elettronico con limite di spesa mensile pari a 500 euro per ogni figlio. Dalla nascita all’età dell’obbligo scolastico, fino a un massimo di quattro a nucleo familiare. Utilizzabile solamente per determinate categorie di beni e servizi, il RNN verrebbe destinato ai bambini nati da almeno un genitore italiano. Alto limite Isee – cinquantamila euro – e possibilità di accantonare le cifre non spese (riscattabili con precisi vincoli al compimento della maggiore età) completano il quadro. La copertura finanziaria? Prima che si inneschi il cosiddetto moltiplicatore, tornerebbero sicuramente utili i fondi oggi utilizzati nell’accoglienza degli immigrati. Per la quale nei primi otto mesi del 2023 abbiamo già speso – stima per difetto – qualcosa come 850 milioni.

Mutuo sociale: un rivoluzionario paradigma da rilanciare

Sempre più nuclei abitativi unipersonali, famiglie sempre meno numerose. E soprattutto, case sempre più piccole: gli italiani infatti vivono in dimore con metratura media (81 mq) minore rispetto ai vicini spagnoli, tedeschi e francesi – rispettivamente a quota 97, 109 e 112. Una tendenza che si accentua con l’avvicinarsi delle grandi città. Il mercato dell’edilizia privata cavalca questo andamento: tocca al pubblico invertire la rotta e farsi carico di garantire spazi più ampi a chi intende allargare il proprio focolare

Dobbiamo poi considerare anche gli ostacoli dovuti all’emergenza abitativa: nel 2022, ad esempio, 2,5 milioni di famiglie italiane hanno speso per la propria abitazione il 40% del reddito disponibile. Per superare il problema delle culle vuote, ossia l’inverno demografico, torna quindi di strettissima attualità un vecchio cavallo di battaglia come il mutuo sociale.

L’istituzione di una serie di enti pubblici regionali che possano costruire case – o interi quartieri – a misura di famiglia. Strutture costruite in collaborazione con università di architettura e urbanistica. Su terreni di proprietà statale (o degli enti locali) e attraverso espropri per pubblica utilità di unità immobiliari private abbandonate. Tutto ciò vorrebbe dire abbattimento delle spese e possibilità di operare a prezzo di costo. La vendita a rate, da bloccare in caso di sopravvenuta disoccupazione, si caratterizzerà per l’assenza di interessi. Gli immobili in questione non potranno né essere venduti né, tantomeno, affittati. Il mutuo, punto fondamentale, non dovrà superare il quinto delle entrate.

Altre misure per superare culle vuote ed inverno demografico

Sicurezza economica ed abitativa sono senza ombra di dubbio i pilastri su cui si deve fondare un progetto di ampio respiro. Lasciarsi alle spalle la depressione da culle vuole, superare l’inverno demografico significa però anche mettere i futuri genitori nelle condizioni – per così dire – logistiche opportune. Come per quel che riguarda gli asili, garantendo orari dilatati. Oppure dove possibile – nelle ditte più grandi o nei distretti industriali – pensare a relative strutture interne. E ancora, promuovere il dialogo tra le direzioni didattiche e tutte le altre strutture del territorio che svolgono nel pomeriggio attività sociale (società sportive, scuole di canto, teatro ecc.). Si potrebbe poi discutere di norme che assicurino al genitore lavoratore dipendente una certa flessibilità oraria. 

Oggi svuotata dal proprio significato, solamente la famiglia – intesa come unione feconda tra uomo e donna – può assicurare la perpetuazione del nostro popolo. Compito stimolante al quale non va preclusa nessuna via. In particolar modo a chi vorrebbe figli ma non riesce a concepirli. L’Istituto Superiore di Sanità stima che in Italia il 15% delle coppie sia infertile. Al di là di ogni dogma, grandi investimenti andrebbero fatti anche nella ricerca scientifica. Quello della denatalità – italiana, europea – è un problema serio ed estremamente articolato. Ma, assolutamente, (ancora) non irreversibile. Basterebbe la volontà di percorrere queste strade in maniera organica. Difficile? Sicuramente. Ma ogni lungo cammino parte sempre dal primo passo.

Marco Battistini

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