Roma, 26 nov – Si è spento oggi a Roma, dopo una lunga malattia, Bernardo Bertolucci. Il regista è l’unico italiano ad aver vinto un Oscar per il miglior film per “L’ultimo imperatore” nel 1987. Nato a Parma da una famiglia dell’alta borghesia agraria, Bertolucci è stato, per molte generazioni, il perfetto cantore della gauche caviar italiana: appiattita sull’ideale estetico del maggio francese del 1968 senza mai viverlo appieno e su un’arcadica, poetica e altrettanto inesatta rappresentazione della classe operaia e contadina dei primi del novecento. Tra le opere del maestro emiliano ricordiamo “Il conformista” (1970), forse il film meglio girato ma che, tuttavia, non scampa nella sceneggiatura alla solita spiegazione psicologica da quattro soldi sul perché il protagonista (Jean-Louis Trintignant) scelga di essere fascista: diviene fascista, e quindi spia, e quindi violento, in reazione ad una famiglia fredda e distante, e ad un abuso subito da piccolo.
Per Bertolucci, e per tutta la sinistra italiana in brodo di Freud dell’epoca, insomma, non si poteva essere fascisti in quanto appartenenti ad un credo politico, ma solo se affetti da una non meglio precisata mania psicotica. Stesso dicasi per il personaggio di Attila interpretato da Donald Sutherland in “Novecento”, il kolossal dal cast stellare (Burt Lancaster, Robert De Niro, Gerard Depardieu) messo in piedi da Bertolucci per raccontare la sua visione dell’emersione del fascismo: secondo la trita e ritrita storiografia sessantottina il fascismo altro non è che il braccio armato del padrone terriero e dell’industriale. Il fascista è sadico ai limiti del fumettistico, sino ad essere pedofilo. Il protagonista “proletario”, invece, ovviamente, è il buono. Egli perdona al miglior amico d’essere stato in combutta con i fascisti, depone il fucile a “resistenza” finita e corre libero nei campi: come sappiamo, purtroppo, nella realtà le cose furono assai diverse da tale rappresentazione idilliaca – le rappresaglie ai danni dei fascisti o anche solo sospettati di esserlo stato sono state lunghe e sanguinose.
Quando si parla di Bertolucci non si può, naturalmente, non menzionare il famigerato “Ultimo tango a Parigi”, il classico film di cui tutti parlano e che pochi hanno visto. Ambientato, come poi sarà ambientato il pessimo “The Dreamers” (una paccottiglia nostalgica del sessantotto francese con corollario di pruderie varie ed incesto) nella capitale francese, narra la storia di un vedovo americano che, incontrata una giovane alla ricerca di un appartamento, intesserà con lei una torbida relazione sessuale, attraverso la quale “impartirà” alla ragazzetta naif i suoi insegnamenti sulla vita e sulla morale: in tal senso, la scena topica è quella riguardante la penetrazione anale a forza del quarantenne sulla giovane donna, in cui l’utilizzo pecoreccio del burro la fa da padrone. La scena è importante non tanto per l’atto in sé, quanto per le frasi che lo accompagnano.
Mentre perpetra, in poche parole, uno stupro, l’uomo esprime la sua opinione sulla famiglia tradizionale, definendola un luogo “dove i bambini sono torturati finché non dicono la prima bugia, dove la volontà è spezzata dalla repressione, la libertà è assassinata dall’egoismo”. E proprio in termini di libertà di espressione e di volontà spezzata, ricordiamo amaramente che la povera Maria Schneider, all’epoca diciannovenne, è rimasta traumatizzata per sempre dallo shock subito sul set di questo film. Come ebbe a dire seguito, la sfortunata attrice non era consapevole di tale mise en scene: “Quella scena non era nella sceneggiatura originale. Me ne parlarono solo poco prima di girarla, e io ero davvero arrabbiata per questo.
Marlon mi disse: ‘Maria, non ti preoccupare, è solo un film’, ma durante la scena, anche se ciò che Marlon stava facendo non era vero, io piansi lacrime vere”. Bertolucci, tutto sommato, non si dimostrò pentito in seguito, anzi: “È anche in questo modo che si ottiene un certo clima” – disse, durante una “Lezione di cinema” – “non saprei come altrimenti. Maria aveva vent’anni. Non aveva i mezzi per filtrare quello che le succedeva. Forse sono stato colpevole ma non potranno portarmi in tribunale per questo”.
Ilaria Paoletti
2 comments
Tanto per rimanere in tema di Freud e psicanalisi: mi sa che l’unico e vero personaggio affetto da psicosi era proprio il Bertolucci stesso!
Sembra che il destino si diverta nelle coincidenze. Si vedono ieri stormi di tuttologi/e, soubrettine, teste “riflessive”, insomma quelli e quelle che si mettevano il rossetto in faccia, puntavano indici, lanciavano occhiate truci su ogni maschio che ha magari solo il torto di indugiare troppo sulle parti anatomiche femminili, senza fare alcunché male, perchè uno sguardo di troppo è già “una violenza orrenda sulle donne” simbolo di “una cultura maschilista bestiale e retrograda”.
Ecco tutti questi personaggi oggi fanno lodi sperticate verso un VERO PORCO STUPRATORE.
Semplicemente è il “grande” regista liberalprogressista, semplicemente il suo film viene considerato – da loro! – il “grande capolavoro” del Novecento. In realtà un filmetto pornografico di bassa lega.
P.S.: Marie Schneider rimase traumatizzata per tutta la vita, si drogò, tento il suicidio e morì a 58 anni per tumore.
Il “grande” regista le chiese scusa dopo la sua morte.
Non aggiungo altro.