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Fantozzi, o la ferocia miserabile della borghesia. In morte di Paolo Villaggio

by Adriano Scianca
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Roma, 3 lug – C’era una singolare ferocia, in Paolo Villaggio (morto a Roma a 84 anni, da alcuni giorni era ricoverato al Policlinico Gemelli). La stessa ferocia che innervava il suo personaggio più famoso, il ragionier Ugo Fantozzi. Chi ha conosciuto l’attore, figlio di quella Genova che per una ventina d’anni sembra aver sfornato talenti a ripetizione, ne ha sempre parlato con un tono agrodolce. Non doveva essere stato un uomo semplice, Villaggio. Nelle sue ultime interviste lo si vedeva bofonchiare cattiverie e considerazioni politicamente scorrette mentre se ne stava sprofondato sulle sue poltrone con regalità diametralmente opposta al disagio e all’inadeguatezza che Giandomenico Fracchia mostrava nell’atto di doversi sedere sulla famosa poltrona sacco.

Il suo Fantozzi esprimeva una comicità che non era semplicemente malinconica, alla Buster Keaton, era sadica. È per questo che spesso i suoi film non piacevano alle donne. Una ferocia senza redenzione, peraltro. Villaggio, che pure nel retro di copertina del libro da cui venne tratto Fantozzi si definiva “a sinistra del partito comunista cinese”, non poneva alcuna via d’uscita rivoluzionaria, alcuna scappatoia politica o sociale che aiutasse a galleggiare sulle acque gelide dell’efferatezza dei rapporti di classe. Nell’universo di Fantozzi, peraltro, dominati e dominatori sembravano accomunati da una medesima miseria esistenziale. Nei capi non c’era alcuna superiorità manifesta in termini di cultura, intelligenza, gusto. Tutti erano accomunati da una medesima atmosfera di mediocrità: il regista fallito Guidobaldo Maria Riccardelli, il fanatico del biliardo Diego Catellani, il visconte Cobram, ex ciclista dilettante, e tutti gli altri boss della Megaditta non fornivano alcuna giustificazione umana e professionale al loro rango. E infatti non avevano nulla della luciferina cattiveria fascista che si vede nei deliri di Pasolini, anzi, si trattava di una classe dominante che, per sua stessa ammissione, era “medio-progressista”.

Quanto ai subordinati, non c’era in Villaggio alcuna reale empatia verso il loro destino sciagurato. I vari Fantozzi, Filini etc sono anzi completamente pervasi di quella piccineria borghese che ha come suo massimo orizzonte il posto fisso e un’idea miserabile di “decoro” e il vuoto formalismo: gli impiegati che si danno del lei, ma sbagliano i congiuntivi, i feticci del boom economico (l’auto, la televisione, la vacanza al mare), l’ostentazione del titolo di studio e del “pezzo di carta” (“Fantozzi Ragionier Ugo”), persino le infatuazioni da ufficio erano banali. Sotto questa patina di rispettabilità, un universo di meschinità e ruffianeria, senza alcuna solidarietà fra gli oppressi. Sono i dettagli che costituiscono la genialità dell’epopea di Fantozzi: pensiamo allo squallore della festa aziendale di capodanno e l’improbabile pettinatura “da serata di gala” della signora Pina, molto più significativi, in sé, della pur geniale gag comica del maestro Canello che anticipa la mezzanotte per partecipare a un altro veglione.

Ogni tentativo di elevarsi dalla volgarità del grigiore impiegatizio appare inautentico. Gli assurdi outfit mostrati in occasione della partita di tennis o della battuta di caccia sono la negazione vivente di ogni idea di stile, l’impossibile calarsi del piccolo borghese in ruoli diversi dal suo. Sarebbe banale affermare che Fantozzi è stato, in molti modi, l’autobiografia della nazione, ma l’impressione è che ci siano diversi pezzi d’Italia che siano ancora e davvero così: lo vedi in certe trasmissioni Rai, quando sei in fila alle Poste, quando entri in una Asl, quando sei su un autobus, quando ascolti i tuoi colleghi, i tuoi superiori, tua madre, tua zia, a volte persino quando ti guardi allo specchio. La borghesia è una cosa bruttissima.

Adriano Scianca

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2 comments

nemesi 3 Luglio 2017 - 11:59

non mi piacciono gli adulatori con violini al seguito,ma questo pezzo per caratura ed analisi non può che qualificare ulteriormente Adriano Scianca come una delle più brillanti pennamunite menti di questo nostro Paese. Da aggiungere -purtroppo- che quando si sta dalla “parte sbagliata” della barricata emergere tra tante zucche vuote è quasi impossibile anche se questo non può che rimanere titolo d’Onore.
Complimenti !

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