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Kraftwerk: i padrini del Kraut Rock sbarcano a Roma

by La Redazione
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kraftwerk_-_the_man-machine_1[1]Roma, 15 lug – Un evento atteso da tutti i cultori della musica elettronica quello tenutosi ieri sera all’auditorium parco della musica di Roma: proprio all’indomani della vittoria della Germania ai mondiali di calcio, i tedeschi Kraftwerk si sono esibiti a Roma per il loro spettacolo in 3D che ormai sta facendo il giro del mondo; e noi siamo andati a sentirli per testimoniare questo momento.

L’evento, sold-out dopo poche ore dall’uscita dei biglietti, è stato sicuramente un successo: tribune e platee piene di gente di tutte le età, dal signore che ha vissuto la nascita del gruppo negli anni 70 al ragazzo in qualche modo affascinato da un periodo storico che non ha mai potuto vivere appieno nel suoi anni musicalmente più proficui.

Per chi non lo sapesse i Kraftwerk sono la band “Kraut Rock” probabilmente più famosa al mondo insieme a Tangerine Dream, Ash ra Tempei e Popol Vuh; Kraut Rock, termine dispregiativo nato dalla stampa angloamericana per descrivere generalmente la musica rock tedesca prodotta negli anni 70 che affondava le sue radici nella musica elettronica concreta piuttosto che nel blues come accadeva in Inghilterra,

Ed è al loro smodato uso del vocoder e dei sequencer, elementi identificativi del gruppo, che si sono ispirati i Daft Punk per canzoni famosissime come “Harder Better Faster Stronger” o “Technologic”.

Tralasciando il passato e tornando allo show, possiamo dire che non è stato niente di più niente di meno di quanto ci si poteva aspettare.

img_9325I Kraftwerk ormai sono un trademark: ad un loro concerto, specialmente nel 2014, non si capita per caso; il loro spettacolo o piace o non piace. Una via di mezzo non può esistere. Quindi rimanere delusi o quantomeno far tradire le proprie aspettative è difficile.

Il quartetto tedesco ha mantenuto il suo stile “freddo” e “teutonico” come al solito; fermi nelle loro quattro postazioni illuminate al neon, hanno fatto sì che fosse lo spettacolo in 3D a parlare.

Iniziato con “The Robots” e concluso con “Music Don’t Stop”, il gruppo ha eseguito tutte le canzoni più famose del gruppo passando per Trans Europe Express, Radioactivity, The Man Machine, Pocket Calculator, Autobahn e via discorrendo. Il tutto è durato circa due ore, contornate da un atmosfera tanto alienante quanto magica; le facce della gente immobile con i suoi occhiali intente ad osservare la rappresentazione fatta di forme geometriche e luci, per interrompersi in lunghissimi e scroscianti applausi, parlavano più di ogni parola. Molti dei vecchi brani sono stati riproposti con nuovi arrangiamenti più moderni;  per le visual, tolto il 3D che ha dato una marcia in più a qualche brano, non si può dire la stessa cosa perché se negli anni 70 il loro design poteva essere all’avanguardia e in un certo modo “futurista” oggi risulta estremamente vintage e minimale. Questa scelta stilistica, che mantiene comunque il suo fascino specialmente quando ad essere rappresentata è una navicella spaziale che fuoriesce dallo schermo per arrivare su una rappresentazione del Colosseo, è voluta proprio perché ormai tutto quell’immaginario “robotico” a metà tra l’esaltazione della macchina di Marinetti e ed un racconto di Isaac Asimov, è sinonimo di Kraftwerk. Non sarebbe sensato aspettarsi altri tipi di rappresentazione che probabilmente stonerebbero. Perché a dirla franca, andare a vedere un loro concerto è come andare al Louvre. Sai benissimo cosa aspettarti ma la Gioconda è bella lo stesso, anche se in foto l’hai vista mille volte.

Alessandro Bizzarri

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