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Ocean Viking, sulla nave Ong viaggiavano due scafisti: arrestati a Messina

by Cristina Gauri
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Messina, 27 set – Incredibile, pare che non via sia solo “gente che scappa dalla guerra” sulle navi Ong che trasportano immigrati dopo averli trasbordati da barchini e gommoni al largo delle coste libiche. Dopo la notizia di ieri, che riguardava l’arresto di tre torturatori/stupratori a bordo della Sea Watch 3 di Carola Rackete, la procura di Messina ha rivelato oggi a ItalPress che sulla Ocean Viking settimana scorsa erano presenti due scafisti: entrambi erano alla guida di uno dei barconi da cui sarebbero stati recuperati i clandestini, poi saliti a bordo della nave di Msf.

Il riconoscimento dei due sarebbe stato possibile grazie ad alcune testimonianze degli immigrati che si trovavano a bordo della Ocean, e a dei video registrati dagli stessi con i propri smartphone. E sempre grazie ai racconti e e alle documentazioni raccolte è emerso un quadro di pagamenti esosi (ma che evidentemente si potevano permettere, aggiungiamo, nonostante la famosa “povertà” da cui dicono di scappare) che i cittadini sub sahariani eseguivano ai trafficanti, finendo poi ammassati in capannoni attendendo di essere trasportati verso le nostre coste. Dopo alcuni giorni i migranti venivano condotti nei pressi di una spiaggia, dove li attendevano i due scafisti arrestati: Mohammed Youssef Ali ed Faki di 42 anni e Atito Salama Soliman di 24 anni, che avrebbero guidato il mezzo fino al recupero da parte della Ocean Viking.

“Mimetizzati” tra i passeggeri i due hanno raggiunto l’Italia e il centro d’accoglienza di Messina, dove sono però stati colpiti dal fermo ordinato dalla Procura, scattato subito dopo le indagini. L’accusa per loro riguarda quella di “aver commesso atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato dei cittadini extracomunitari dietro corresponsione di somme di denaro dall’importo variabile, con le aggravanti di aver commesso i fatti in relazione a più di cinque persone, esponendole a pericolo per la loro vita e incolumità fisica, sottoponendole a trattamento inumano e degradante”.

Cristina Gauri

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