Roma, 20 giu – Dopo le simulazioni, il 31enne Marco Prato alla fine si è davvero suicidato. Era uno dei killer di Luca Varani, ucciso il 4 marzo 2016 durante un festino a base di sesso e droga. Prato era in carcere a Velletri e domani avrebbe avuto l’udienza del processo. A differenza del suo compare di festini, Manuel Foffo, che con il rito abbreviato è stato condannato a 30 anni, Prato aveva scelto il rito ordinario.
Si sarebbe suicidato per le menzogne dette su di lui. Almeno questo è quello che emerge da una lettera lasciata in cella prima di suicidarsi mettendo la testa in un sacchetto di plastica e respirando il gas contenuto nella bombola in dotazione ai detenuti nelle celle. Era a Velletri da poco, prima era detenuto a Regina Coeli e qui aveva scoperto di essere sieropositivo.
Quella notte di marzo di un anno e mezzo fa insieme a Manuel Foffo, Marco Prato ha consumato uno dei delitti più efferati degli ultimi anni. Insieme hanno seviziato e ucciso un suo amico, attirato con una scusa nell’appartamento di Foffo per un festino a base di droga e orge gay, che avrebbe rifiutato le loro avance. Prima lo avevano imbottito di Ghb, la droga dello stupro.
Alcuni macabri dettagli di quell’omicidio vennero raccontati dallo stesso Prato nel corso degli interrogatori. Rivelò che Varani non voleva morire, e che mentre il suo compagno di omicidio infieriva torturando e seviziando Varani, lui baciava la vittima sulla testa, perché così Foffo prendeva più forza. Un omicidio maturato e pensato, non il frutto di un raptus di follia.
Nonostante negli interrogatori Prato abbia affermato di essere succube di Foffo, dalle indagini è chiaramente emerso come la sua fosse una personalità “malvagia e crudele”, capace di manovrare e manipolare gli altri, e incapace di provare sentimenti di pietà. Ma soprattutto capace di pensare a tavolino un omicidio come quello di Luca Varani: del resto per sua stessa ammissione durante quella festa per tutta le sera lui e Foffo non avevano parlato d’altro.
Marco Prato, il killer per gioco a cui venivano i brividi a pronunciare il nome CasaPound, come lui stesso affermò quando a uno dei suoi mondanissimi eventi capitolini a base di cocaina e bella gente, una drag queen ebbe un diverbio con alcuni buttafuori che secondo Prato erano simpatizzanti del movimento. Marco Prato, l’isterico pierre che organizzava eventi gayfriendly e che sul suo cellulare sono stati trovati video con stupri di donne e atteggiamenti pedofili, anche di bambini nel compimento di atti sessuali.
Un killer mai pentito, come non ha mancato di dimostrare. Lo ha dimostrato la prima volta in cui simulò il suicidio in una stanza d’albergo lasciando biglietti sparsi ovunque in cui diceva che era una “brutta persona”. Venne trovato in stato confusionale con la testa sotto al letto, ma nessuno gli fece la lavanda gastrica, perché era evidente che il suicidio era solo simulato.
E lo ha dimostrato adesso che è morto davvero. Nella lettera lasciata in cella lui dice che non poteva sopportare la pressione mediatica su di lui. Noi azzardiamo l’ipotesi che si sia ucciso per la vergogna, probabilmente, di quello che finora è emerso della sua personalità. Non per la vergogna di aver ammazzato un suo amico affettandolo come si affetta il pane.
Anna Pedri
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