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Oxford: “Studenti paghino di più”, il fallimento del modello inglese

by Michael Mocci
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Londra 9 ott – Con una naturalezza e un tono pacato molto ‘british’ il professor Andrew Hamilton, vice-rettore dell’Università di Oxford, ha dichiarato, durante il consueto discorso di inizio anno, che gli studenti pagano tasse troppo basse.  “Come è possibile – si è chiesto il professor Hamilton – che il costo reale della formazione di uno studente a Oxford sia di almeno 16.000 sterline ogni anno mentre la retta è di 9.000? Ciò rappresenta un deficit di finanziamento di 7.000 sterline all’anno per ciascuno studente”.  Non sono mancate le reazioni rabbiose di alcuni docenti, come quella di Sally Hunt, segretario generale della University and College Union, secondo cui “tasse più alte non sono appropriate visto il momento economico”.  Nel complesso comunque la notizia non ha suscitato molto clamore.

Un motivo c’è: Hamilton non è ‘british’ solo nello stile ma anche nei concetti che espone. “Vuoi la qualità? Pagala!”, è una delle massime delfiche del liberalismo. Ora, se questo discorso può andar bene per le automobili, le matite e le figurine, di sicuro è folle se si parla di istruzione, sanità, assistenza sociale. Eppure, Inghilterra e Usa per anni si sono poste come esempio di istruzione di fronte a tutto il mondo. L’educazione, per etimologia, ha bisogno di una guida, e questa guida è lo Stato. E come può uno Stato dire: “Se hai i soldi per permetterti un’università prestigiosa diventerai classe dirigente, altrimenti no”? Questo modello è perdente perché scava un solco nella società e divide il popolo.

Ancora una volta, l’Italia non deve prendere lezioni, perché sarà anche vero che qui la ricerca non progredisce, che i governi non stanziano fondi, che le strutture sono fatiscenti e che ci sono i baroni. Ma la prima università del mondo è nata a Bologna nel 1088 con l’intento di creare uomini completi e universali (chiunque volesse diventare medico o avvocato, ad esempio, doveva anche sapere di teologia), era gestita interamente dagli studenti e pagata dal comune di Bologna. Il modello da seguire dunque c’è, ed è italiano.

Michael Mocci

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