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Russiagate e servizi segreti, gli Usa chiedono a Conte di continuare a collaborare

by Ludovica Colli
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Roma, 7 ott –  William Barr, il procuratore generale degli Stati Uniti, “sta solo facendo il suo lavoro“. Così il repubblicano Lindsey Graham, presidente della commissione Giustizia del Senato, fedelissimo del presidente Usa Donald Trump, rassicura l’Italia. Graham è stato interpellato dall‘Agi sulla lettera che ha inviato al premier Giuseppe Conte, al primo ministro inglese Boris Johnson e a quello australiano Scott Morrison, con la quale esorta i tre Paesi alleati a cooperare con il Guardasigilli Usa in merito all’inchiesta sulle origini del cosiddetto Russiagate, per determinare da dove sia partita l’indagine dell’Fbi sulla presunta collusione tra Trump e il Cremlino durante le presidenziali del 2016.

La lettera inviata a Conte

“Cari primi ministri Morrison, Conte e Johnson, dopo la pubblicazione, il 30 settembre del 2019, dell’articolo del New York Times che accusa il procuratore generale Barr di utilizzare diplomazia ad alto livello per portare avanti gli interessi politici personali (del presidente), scrivo per chiedervi di proseguire la cooperazione del vostro Paese con il procuratore generale William Barr, mentre il dipartimento di Giustizia continua a indagare sulle origini e l’entità dell’influenza straniera nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016″, si legge nell’incipit della lettera, che arriva a pochi giorni dalla seconda visita del Guardasigilli Usa in Italia, lo scorso 30 settembre, dopo quella di metà agosto. E’ prassi “di routine” lo scambio di informazioni di intelligence tra i Paesi per collaborare nelle inchieste, osserva ancora Graham. “Sembra che gli Stati Uniti e la comunità di intelligence si siano basati su informazioni dei servizi stranieri nell’ambito del loro impegno per indagare e monitorare le elezioni presidenziali del 2018”, spiega Graham nella lettera, indicando in particolare tre nodi da sciogliere.

Tre nodi da sciogliere

Il primo nodo è l’aver fatto affidamento su “un dossier profondamente difettoso e pieno di ‘sentito dire’ scritto da un ex agente di parte del Regno Unito”, ossia il rapporto di Christopher Steele, una raccolta di 17 dossier su Trump compilata nel 2016 dall’ex spia britannica. Il secondo nodo riguarda il professore maltese Joseph Mifsud (che Graham nella lettera definisce “italiano”) di cui non si sa più nulla e che nella Link Campus di Roma incontrò George Papadopoulos, allora uno dei consiglieri di Trump per la campagna elettorale. Il Presidente Usa e i suoi sospettano che il professor Mifsud sia un agente segreto occidentale che lavorava per la Cia o l’Fbi e che l’intera manovra fosse un complotto del “deep state” Usa per impedire la sua elezione. La terza questione indicata da Graham nella lettera riguarda “il fatto di aver accettato informazioni da un diplomatico australiano, al quale era stato detto, anche a lui, di contattare Papadopoulos e di trasmettere le informazioni da lui ottenute sulla campagna all’Fbi”. Per questo, conclude Graham nell’appello ai tre leader, “vi chiedo di continuare a collaborare” per determinare le origini dell’inchiesta sulle interferenze russe nelle presidenziali americane del 2016″. Quello che i cittadini statunitensi vogliono sapere, ha fatto presente Graham, “è perché vada bene cooperare con Mueller (il procuratore titolare del Russiagate) e non vada bene cooperare con Barr per stabile se Trump sia stato vittima di un’operazione dell’intelligence fuori controllo”.

New York Times: “Visita svolta aggirando protocolli”

Intanto non si placa la polemica. E proprio il New York Times torna sul coinvolgimento italiano nel Russiagate sostenendo che diplomatici e dirigenti degli 007 americani presenti nell’ambasciata Usa a Roma non sapessero le ragioni per cui Barr andò a Roma a settembre. La visita si sarebbe quindi svolta aggirando i normali protocolli per questo genere di incontri ai quali, è quanto sostiene il quotidiano newyorkese, avrebbero partecipato esponenti dell’intelligence italiana e anche politici.

Renzi: “Conte chiarisca in Parlamento”

Matteo Renzi ha chiesto al premier Conte di chiarire in Parlamento, davanti al Copasir, cosa è successo veramente. Al tempo stesso, lo ha invitato a cedere la delega sui Servizi segreti che il presidente del Consiglio si tiene ben stretta fin dal governo gialloverde. Inoltre né gli ex alleati della Lega né quelli attuali hanno mai saputo delle visite di Barr in Italia. Un’anomalia che lascia intendere il disegno di voler tenere all’oscuro parte della maggioranza. In merito alle richieste di Renzi non è arrivata alcuna replica da Palazzo Chigi. Nei giorni scorsi in una nota si affermava che “il presidente chiarirà dapprima nella sede istituzionale appropriata, il Copasir, tutta la vicenda e poi chiarirà anche pubblicamente. Quanto alle indiscrezioni, il presidente non commenta. Il compito dell’intero comparto di intelligence è lavorare con il massimo riserbo e nel rispetto dei vincoli di legge alla sicurezza nazionale. Così si dimostra lo spirito di servizio, non certo alimentando fughe di notizie o frammenti di parziali informazioni sui giornali”. Dal canto suo, ospite a In Mezz’ora in più, il leader di Italia Viva respinge come una “barzelletta” il presunto complotto di Obama ai danni di Trump, cui lui stesso avrebbe preso parte: “Ho querelato e chiesto un milione di danni”, dice Renzi.

Ludovica Colli

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