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La teoria dell’origine africana dell’uomo continua a perdere pezzi

by Carlomanno Adinolfi
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Ripubblichiamo questo articolo di Carlomanno Adinolfi, sempre più attuale [IPN]

Roma, 24 set – Continuano le scoperte che mettono sempre più in bilico la teoria “ufficiale” – e oramai sostenuta a stento solo dall’ala più oltranzista dell’accademia internazionale – dell’origine africana dell’Uomo. Questa volta a mettere in discussione il dogma dell’Out of Africa è un articolo della rivista Trends in Ecology and Evolution scritto da un team di esperti di genetica che afferma come l’evoluzione umana negli ultimi 300 mila anni sia molto più complessa di quanto espresso dalla teoria ufficiale, essendo il risultato di incontri, incroci e sovrapposizioni di diverse linee evolutive che a seconda dei luoghi e dei tempi hanno seguito corsi diversi. Si tratta della cosiddetta teoria “multiregionale”, da sempre la principale competitor della Out of Africa ma che, nonostante fosse supportata da molte più basi scientifiche, è sempre stata accantonata a favore della teoria africana.

L’articolo prende spunto dalle ultime scoperte in campo evolutivo. Tra queste si annoverano i resti trovati ultimamente in Marocco nella caverna di Djebel Irhoud, a ovest di Marrakesh. Questi resti risultano ora essere ora i più antichi della nostra specie, ben 100 mila anni più vecchi dei resti trovati in Somalia di quello che era finora considerato il “più vecchio Homo Sapiens” e che erano tra i capisaldi della teoria secondo cui l’Uomo si sarebbe speciato nell’Africa sudorientale, all’incirca tra la Tanzania e appunto la Somalia, per poi “colonizzare” l’Eurasia e quindi il resto del pianeta.
Un’altra scoperta che metterebbe in discussione tutto l’impianto ufficiale è quella del team dell’istituto tedesco Max Planck guidata dall’antropologo e biologo Svante Pääbo, ritenuto uno dei padri della paleogenetica. Il team era già noto per aver di fatto scoperto l’Uomo di Denisova, una nuova specie vissuta tra i Monti Altaj della Mongolia tra i 90 mila e i 40 mila anni fa. La scoperta della nuova specie aveva già delineato un quadro molto più complesso di quello finora teorizzato. Ma l’analisi genetica fatta nel 2016 su un osso di una ragazza 13enne trovato sempre tra i monti Altaj ha mostrato come questa fosse figlia di un padre denisoviano e di una madre neandertaliana. Incroci tra Sapiens, Neanderthal e Denisova sono poi stati evidenziati dallo studio condotto dall’americana Sharon Browning e dai colleghi della Washington University e della Princeton University.
Ispezionando il genoma di oltre 5.500 individui, gli studiosi hanno individuato il dna di Denisova tra le popolazioni dell’Asia orientale, in particolare nei due gruppi etnici cinesi e i giapponesi. Ora sembra che gli incroci genetici tra Homo sapiens, Neanderthal e Denisova non siano spiegabili con il breve tempo di vita comune tra le specie che suggerisce il modello “Out of Africa”. E dopo la scoperta dello scorso anno in Grecia di un ominide più anziano di circa un milione di anni di quelli africani, questi nuovi indici forniscono ulteriori prove ai sostenitori del modello alternativo alla culla africana che pone l’origine dell’uomo in Eurasia. L’anno scorso, il professore svedese di genetica Ulfur Arnason ha pubblicato uno studio sulla rivista Gene in cui, basandosi sull’analisi genomica delle popolazioni di ominidi che abitavano la regione a cavallo tra Europa e Asia, ha teorizzato un nuovo modello evolutivo per il quale l’Homo sapiens avrebbe colonizzato l’Africa, l’Europa e l’Asia in diversi gruppi distinti, proprio partendo dall’Eurasia. “La dispersione dell’Homo sapiens attraverso l’Eurasia, 60.000 anni fa, ha indubbiamente permesso ripetute interazioni su larga scala con popolazioni arcaiche” afferma il ricercatore svedese.

Ma ecco che, di fronte all’indifendibilità della teoria per cui “saremmo tutti migranti provenienti dall’Africa”, la comunità scientifica internazionale sembra aver trovato i giusti anticorpi per poter avere una nuova teoria politicamente corretta e sostenibile. La co-autrice dell’articolo di Trends in Ecology and Evolution Eleanor Scerri, archeologa del Jesus College di Oxford, ha infatti affermato che “l’evoluzione delle popolazioni umane in Africa è stata multiregionale. La nostra discendenza era multietnica e l’evoluzione della nostra cultura materiale era multiculturale”. Insomma se non siamo tutti africani, dobbiamo per lo meno essere tutti multietnici e multiculturali.

Carlomanno Adinolfi

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5 comments

Raffo 24 Settembre 2018 - 9:03

Ripetiamo per l’ennesima volta che , nonostante le vagonate di fandonie proferite dai presunti scienziati cumunistoidi , le razze esistono ed hanno tratti genetici strutturali tipici , per non parlare di usi e costumi tramandati da secoli di storia che ci hanno reso differenti e unici in ogni parte del pianeta………ma,per le deiezioni umanoidi comunistelle il presunto meticciato deve trionfare,a costo di farci morire tutti noi, intendo bianchi,etero e di destra……….solo che la scienza, fortunatamente,non è solo quella che ci propinano a skypd24 e parzialità simili………. auguroni.

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Fabrizio 24 Settembre 2018 - 9:51

A Kalergi non fregava niente del… ‘prima’.

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Bob184 25 Settembre 2018 - 8:53

Non é questione di DNA, è piuttosto questione di tipo di società, modello di vita, concezione delle relazioni umane, insomma tutto quanto insieme costituisce il modello culturale. Se fra “occidentali” siamo abbastanza simili, le culture medio orientali, fortemente influenzate dall’islamismo, e quelle africane, a prescindere dai vari credi religiosi, sono sostanzialmente diverse. Se 10mila ed oltre anni fa era questione di un gruppo di qualche centinaio di persone che vagavano da un luogo, per lo più disabitato, ad un altro, altrettanto vuoto, oggi la situazione è nettamente differente, tanto da rendere difficilissima la coabitazione e l’integrazione. A meno di periodi coattivi, probabilmente molto lunghi, per educare i nuovi arrivati al nostro modello di vita.

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Matteo 25 Settembre 2018 - 12:01

fonte dei recenti studi genetici dato che viene richiesta che supera la teoria OOA http://lup.lub.lu.se/record/c39a7e4b-a189-4b6b-b19b-b28a556f3308

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