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Tolo Tolo di Zalone è un film pro immigrazione. Ma a Checco vogliamo ancora bene

by Davide Di Stefano
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Checco Zalone in Tolo Tolo

Roma, 9 gen – Chiariamoci. Checco Zalone non si è tesserato né all’Anpi, né al Pd. Ci sarà forse rimasto male Paolo Virzì, autore del soggetto di Tolo Tolo. Il regista livornese – che la tessera dem ce l’ha in tasca – si è visto “scippare” la regia dell’ultimo film campione di incassi del comico barese, che sostanzialmente ha preso l’idea di Virzì e l’ha modellata a modo suo. Nonostante la “zalonizzazione” di Tolo Tolo, a sinistra sono andati in brodo di giuggiole: da Repubblica fino ai siti più sfigati di radical chic, sostanzialmente è tutto un festeggiamento per “l’inversione di rotta di Checco”. Stavolta si “ride meno e si riflette di più”, ci dicono i compagni, che di solito tradotto significa che il messaggio che passa gli garba. Hanno ragione? Sì. Con dei distinguo. Ma alla fine sì.

Checco è sempre politicamente scorretto. E non è poco

Procediamo per gradi. Per primi avevamo accolto positivamente il carattere politicamente scorretto del lancio del film: il videoclip di “Immigrato utilizzava toni che avevano causato l’ira degli immigrazionisti più convinti, come quelli del Baobab, ai quali la rappresentazione degli immigrati sotto forma di “scocciatura” per gli italiani, e non di “risorse”, non era andata giù. Rispetto al lancio, nel film c’è un elemento di continuità e al tempo stesso anche un elemento di rottura.

L’elemento di continuità è rappresentato dal linguaggio e dall’approccio. Checco Zalone è sempre politicamente scorretto. Prende in giro tutti, senza distinguo e senza remore. Gli italiani, gli africani, i radical chic, i calabresi, i sovranisti, chiunque. Non fa prigionieri. Su questo piano è difficilmente ascrivibile ad una parte o all’altra. Ed è quello che lo rende antipatico a chi si pone in maniera eccessivamente “ideologizzata” al suo personaggio (come i compagni del Baobab). C’è però un fatto da non sottovalutare: quello della libertà di parola oggi rappresenta un fronte già di per sé. Chi decide di non sottostare ai diktat del linguaggio (come i Feltri o gli Sgarbi della situazione) esce già in qualche modo dal coro del pensiero unico. E questo è il motivo per cui vogliamo ancora bene a Checco.

Tolo Tolo conferma la narrazione di sinistra

L’elemento di discontinuità è il film stesso. Inteso come trama, svolgimento, scrittura. Tolo Tolo conferma in maniera sostanziale la narrazione di sinistra sull’immigrazione. Checco Zalone si trova in Africa per sfuggire ai debiti, alle tasse e alle ex mogli. In questo contesto i suoi finti problemi vengono messi a confronto in maniera paradossale ai veri problemi di chi si trova in Africa, alle prese con Boko Haram, la guerra e la fame. La sua famiglia italiana lo vuole morto per recuperare i soldi, mentre la sua nuova famiglia africana, i suoi compagni di viaggio, lo aiutano nel suo intento di tornare in patria da clandestino. E così la realtà, che ci dice che a sbarcare in Italia per l’80% sono giovani maschi senza titolo di studio che non scappano da nessuna guerra, viene ribaltata. Con Checco in fuga insieme ad una donna, un bambino, un giovane intellettuale e pure un medico.

Mentre con i suoi amici africani affronta “il grande viaggio” verso l’Europa superando peripezie e pericoli (tra cui i famigerati lager libici, altro feticcio della sinistra), in Italia la sua famiglia sfrutta la sua scomparsa per andare in tv e gridare “prima gli italiani”. In tutto questo Checco lancia più di una frecciatina a “sinistra”: ironizza sull’arretratezza e la corruzione dell’Africa senza addossare colpe agli occidentali, scherza su quelli delle Ong “coi soldi” e smaschera l’ipocrisia del giornalista radical chic francese che finge di volerli aiutare ma al quale interessa solo lo scoop. La presa in giro nei confronti degli italiani intesi come “elettore medio di Salvini” appare però più forte, perché più connessa alla storia e al personaggio stesso di Zalone. A Checco in alcuni momenti “sale il fascismo”, inteso come intolleranza nei confronti degli immigrati che esce dalla “pancia” (ricorda nulla?). A spiegargli che il fascismo “si cura con l’amore”, e che “abbiamo tutti il fascismo dentro, con lo stress viene fuori” ci pensa il migrante africano che fa il medico.

L’arrivo in Italia e il lieto fine

E così Checco sale sul barcone insieme agli immigrati e dopo un naufragio a salvargli la vita saranno i volontari di una Ong spagnola. Per colpa della politica rimarranno per giorni “ostaggio” in mare, finché sempre a causa della politica (redistribuzione nei Paesi Ue) verranno spediti col pallottoliere nei vari Stati. A Checco toccherà il rientro in Italia e insieme ad una volontaria Ong riuscirà a compiere quella che ormai è la sua missione: far ricongiungere il piccolo Dudù con il padre. Ci riuscirà dopo averlo trovato ad un “festival delle contaminazioni” a Trieste dove l’africano fa il pittore (fargli fare lo spacciatore al parchetto o l’ambulante sarebbe stato troppo realistico e poco poetico). E così si arriva al lieto fine, in una sorta di sogno dove Checco si sposa in Italia con l’africana Idjaba e l’intellettuale Oumar potrà finalmente diventare un regista impegnato. Nel gran finale c’è anche spazio per la canzone della “Cicogna strabica”, videoclip in cui Zalone spiega ad un gruppo di bambini africani che non è certo colpa loro se sono stati sfigati a nascere in Africa.

Tolo Tolo è dunque un film pro immigrazione, nel senso che giustifica le ragioni di chi parte dall’Africa per venire in Europa. Non è un film buonista fino in fondo, perché mette in guardia gli immigrati sul fatto che in Italia non troveranno quello che si aspettano (“venite a raccogliere i pomodori”), non considera l’immigrazione una risorsa (il padre di Dudù ci dice chiaramente che non ci pagherà le pensioni) e non ascrive agli occidentali le colpe dell’arretratezza e dell’Africa (nella canzone della cicogna si allude probabilmente anche alla questione del sovrappopolamento). Resta però l’immagine simpatica e scanzonata dei poveri immigrati che scappano dalla guerra, fenomeno normalizzato e reso tutto sommato digeribile dalla simpatia di Checco. Il che non cambierà senz’altro gli equilibri politici, ma se alla redazione dell’Espresso il film è piaciuto un motivo c’è.

Davide Di Stefano 

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7 comments

Marcellus 9 Gennaio 2020 - 1:24

E’ come un film giapponese: nakakata.

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Anton 9 Gennaio 2020 - 3:03

“… Resta però l’immagine simpatica e scanzonata dei poveri immigrati che scappano dalla guerra… ”

https://www.unionesarda.it/articolo/news-sardegna/cagliari/2020/01/09/spaccio-in-via-roma-10-arrestiil-gip-una-presenza-militare-136-973315.html

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Francesca 9 Gennaio 2020 - 7:28

Mah… Zalone ‘politically uncorrect’ non lo vedo proprio, quale retorica di marketing! Se così fosse avrebbe detto: giovani africani non venite nell’Europa finita, costruite il vs paese! Invece ha mantenuto il filone dei poveri immigrati. Ne abbiamo a suff

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Filippo 9 Gennaio 2020 - 9:42

Daje de punta, daje de tacco……Zalone furbetto!
Quando l’ironia sorniona e furbesca sugella la nostra scomparsa e la nostra sostituzione ad opera di allogeni del paleolitico!

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Riccardo 9 Gennaio 2020 - 10:10

A me verrebbe in mente che se doveva girarlo Virzì è perchè Zalone non è troppo distante da quelle idee, visto che tutti i suoi film precedenti hanno una morale progressista.

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Emanuele Taverniti 10 Gennaio 2020 - 4:55

Io NON guarderò il film, d’altronde poco importa: Checco diventerà milionario anche senza i miei denari. Non posso guardare un film piaciuto a “L’Espresso”

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Cesare 12 Gennaio 2020 - 1:53

Zalone quindi ospiterà a casa sua, con i tanti milioni che ha, tanti “poveri africani”? O forse come tanti immigrazionisti , compreso el papa,vuole fare pagare agli altri il costo della ospitalità??Sicuramente il film non lo vedrò, perchè il moralozzo da uno come Zalone non mi interessa proprio

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