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L’affermazione dell’allenatore gentiluomo: quando in Europa dominava il calcio italiano

by Marco Battistini
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Roma, 24 apr – Gli italiani lo fanno meglio, si sa. Quando nel marzo ‘97 oltre 10mila americani avvistano nel cielo di Phoenix non meglio identificate luci a formazione triangolare nessuno poteva immaginare che, solo qualche mese più tardi, noi un extraterrestre (per dirla con capitan Cannavaro) lo avremmo fatto atterrare per davvero.

Il campionato più bello, il giocatore più forte

E’ ancora aprile e il Barcellona annuncia di aver trovato l’accordo per il rinnovo di Ronaldo. Nonostante le dichiarazioni ufficiali arrivate dalla Catalogna il Fenomeno continua ad essere conteso da due compagini tremendamente ambiziose, ossia l’Inter di Moratti e la Lazio targata Cragnotti. In una storia che sembra già scritta la spuntano i nerazzurri, versando la clausola rescissoria: il migliore giocatore del globo non poteva che misurarsi nel campionato più bello del mondo.

La Serie A – Batistuta, Del Piero, Inzaghi, Zidane, Totti – è un campionato già straripante di stelle: basti pensare che nella stessa estate le squadre di medio-alta classifica si concedono il lusso di rifiutare, una dopo l’altra, un certo Roberto Baggio (si accaserà al Bologna per salire sul terzo gradino della classifica marcatori). Sono proprio meneghini e biancazzurri a giocarsi il titolo detenuto dalla Juventus, la quale però – non senza polemiche – bissa il successo dell’anno precedente.

Un’Europa molto italiana

Le tre contendenti (insieme al Vicenza) fanno la voce grossa anche in Europa. Se la Vecchia Signora si inchina – per un dubbio fuorigioco – solo al cospetto di quel Real Madrid che alzerà la Champions, in Coppa Uefa arrivano in fondo sia Inter che Lazio, con quest’ultima in particolare che in campo continentale pare imbattibile.

Almeno fino al 6 maggio 1998 quando sui biancocelesti si abbatte – appunto – la furia marziana del numero 10 interista. L’ultima versione integra del brasiliano mette la firma sul rotondo 3-0 della squadra allenata da Simoni, pacato condottiero di un gruppo che si è guadagnato con le unghie e con i denti la finale di Parigi. Escludendo la prima passeggiata svizzera in quel di Neuchatel, il tragitto europeo della Beneamata è infatti una salita tortuosa, a partire dai ribaltoni transalpini contro Lione e Strasburgo. Nei quarti ci vogliono i supplementari per scacciare i fantasmi tedeschi dello Schalke 04 (trionfanti la stagione precedente proprio ai danni dei nerazzurri) e in semifinale – nel gelido aprile moscovita – una prestazione determinata per recuperare lo svantaggio iniziale.

L’affermazione dell’allenatore gentiluomo

Una squadra che gioca all’antica – con il libero, talvolta schierando una linea difensiva composta da 5 uomini – ma capace di sfruttare al meglio il primo prototipo di giocatore moderno. Marcatura a uomo e contropiede perché, citando un fortunato motto dello storico sponsor commerciale, “la potenza è nulla senza controllo”. Idee chiare già dal ritiro estivo in Val d’Aosta dove – citando Orwell nella “Fattoria degli animali” – l’allenatore rassicura i suoi: “siete tutti uguali per me. Tranne Ronaldo, lui è un po’ più uguale degli altri”. Attorno ai pochi (ma sufficienti) punti fermi cresce infatti il collettivo e il tecnico di Crevalcore si dimostra un ottimo maestro, di quelli che al posto di dare nozioni su nozioni ti portano al massimo. Infatti senza le fatiche dei vari Bergomi, Colonnese, Zanetti, Simeone, Moriero a Luis Nazario de Lima non sarebbe rimasto che predicare nel deserto.

Si fa presto a dire Ronaldo: un’arma impropria, è vero. Ma all’occhio più attento non sfugge che alla fine quella è semplicemente l’Inter di Gigi Simoni, allenatore gentiluomo, uomo d’altri tempi proiettato nel futuro.

Marco Battistini

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1 commento

Evar 25 Aprile 2022 - 2:47

Sttano questo calcio “italiano”, che per essere ricordato ha bisogno di continue trasfusioni di sangue straniero: Ronaldo, Batistuta, Maradona, Falcao… o che per essere “rinforzato” in nazionale si inventava gli oriundi: Sivori, Altafini, Sormani.

Quando negli anni 70 gli stranieri furono soggetti a blocco, di trofei non si battè praticamente chiodo (a parte una sfigatissima coppetta dei poveri accattoni gobbi). Il che porta a dire che di italiano in questo calcio ci sono soprattutto gli ingaggi più remunerativi del mondo e gli assegni che li coprono.

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