Modena, 1 dic – Umberto Panini si è spento ieri nella sua casa di Modena al termine di una lunga malattia, portando con sé la gratitudine di intere generazioni di calciofili over 30, cresciuti tra le ginocchia sbucciate nei cortili e l’appuntamento domenicale del baratto delle sue figurine. Gli album Panini hanno solcato mezzo secolo della storia italiana, senza mai snaturare la loro semplice essenza, concedendo solo piccole variazioni grafiche a una struttura consolidata che prevedeva il simbolo societario, la foto di squadra e le figurine dei calciatori rigorosamente divise per ruolo. Panini non lasciava spazio a seduzioni egualitarie e manteneva intatta negli anni la gerarchia tra i vari campionati: due pagine alle società di serie A, una a quelle di B, con due calciatori accoppiati in una figurina, e la sola foto di squadra per le società di serie C.
Gli album editi in occasione dei mondiali avevano una discriminazione ancora più marcata, e delineavano la geografia calcistica meglio di qualsiasi classifica Fifa; le asiatiche, le africane e le nordamericane non avevano diritto alla doppia pagina, il calcio per la Panini era una scienza esatta e l’Egitto non avrebbe mai avuto lo stesso spazio del Brasile, i coreani si sarebbero dovuti stringere in due in una figurina se erano nello stesso girone con Italia e Argentina. E poi c’era lei, il simbolo incontrastato e immutato, la rovesciata di Parola, immortalata in quella posa plastica che per anni ha accompagnato la fantasia di ogni calciatore in erba: realizzare un gol con la perfezione di quel gesto tecnico elegante e potente allo stesso tempo, ignari che si trattasse, in realtà, di un rinvio difensivo avvenuto in un Fiorentina – Juventus del 1950.
Francesco Pezzuto