Roma, 29 giu – L’ultima volta, a Qatar 2022, è stato un intenso (ma dimenticabile) pareggio ad occhiali. Reti bianche messe a repentaglio dalla sola traversa del futuro milanista Christian Pulisic. Soccer contro football – anche se dalle nostre parti preferiamo ovviamente parlare di calcio – sicuri carneadi da una parte, presunti inventori dell’arte pedatoria dall’altra (non sarebbe nemmeno questo il punto). Tralasciamo volutamente ogni parallelismo geopolitico perché nel caso specifico si prenderebbero clamorosi granchi. C’è un capitolo però della storia pallonara di Stati Uniti e Inghilterra che potrebbe interessare al lettore. Mondiali brasiliani, 29 giugno 1950: ovvero il miracolo di Belo Horizonte.
Il primo mondiale degli inglesi
Uscita dalla Fifa insieme alle altre selezioni del Regno Unito già nel 1928, l’Inghilterra – o meglio, la Football Association – decide di rientrare nella suddetta federazione internazionale nel secondo dopoguerra. Giusto in tempo per presentarsi alla Coppa Rimet da esordiente e grandissima favorita. I Tre Leoni sintetizzano il meglio della First Division, antenata dell’odierna Premier League: tra gli altri quel Stanley Matthews che qualche anno più tardi vincerà il primo pallone d’oro – 1956.
Al contrario, non sono nuovi nella competizione iridata i “cugini” d’oltreoceano. Ma nonostante ciò il calcio – un po’ come oggi – fatica tremendamente a far breccia nel cuore della popolazione americana. Basti pensare che un solo giornalista americano è in Brasile, oltretutto a spese proprie. Colpa anche della Grande Depressione che aveva precedentemente affossato il nascente campionato interno. Gli Stati Uniti sono quindi una compagine abborracciata in fretta e furia per mezzo di provini. Squadra che di “nazionale” ha ben poco (tre giocatori non sono nemmeno cittadini), lontana per lo meno anni luce da quella che è la nostra concezione.
Il miracolo di Belo Horizonte
Ma tant’è. Perché a noi interessa solo che – in senso positivo – ci sia lo zampino di qualche italiano. Stati Uniti-Inghilterra è la seconda partita del gruppo 2, girone composto anche da Cile e Spagna. Inedito derby anglofono, gara sulla carta senza storia. Così per i boriosi britannici del Daily Express assegnare tre reti di vantaggio agli avversari sarebbe stata cosa buona e giusta. Diretta dal nostro connazionale Generoso Dattilo, la sfida inizia come da copione. Monologo inglese, sei conclusioni e due pali nella prima dozzina di minuti.
I ragazzi allenati dallo scozzese Jeffrey mettono la testa fuori dalla propria metà campo solo sporadicamente ma, come avrebbero cantato gli 883 mezzo secolo più tardi, la sfera di cuoio -metafora della vita – è per sua natura regolata dalla dura legge del gol. Così, alla seconda sortita offensiva gli “uomini senza speranza” – secondo il Belfast Telegraph – passano in vantaggio. Prendeva forma il miracolo di Belo Horizonte, diventato realtà nelle barricate del secondo tempo. Impresa sportiva senza spazio alcuno sulla stampa americana del giorno dopo, perché si (mal)pensò che la notizia della vittoria fosse – semplicemente – una bufala.
I protagonisti italiani
Dopo la cronaca, i poliedrici protagonisti: quattro connazionali nel miracolo di Belo Horizonte. Partiamo dal numero uno, il portiere Frank Borghi, smilzo autista con un passato nel baseball. E messo in porta per via di piedi non propriamente educati. In quel pomeriggio mineiro parò praticamente di tutto. Davanti a lui Charles Colombo, pugile dilettante e macellaio di professione. Forse anche in campo: si dice che dopo una rude entrata scambiò l’invito alla calma di Dattilo (direttamente in romanesco: “bono, bono”) per un complimento.
Sappiamo meno di Virginio Pariani. Segni particolari: tutti e tre lombardi, con famiglie provenienti da Cuggiono. E, come Frank Valicenti (Wallace), residenti a Saint Louis, nel Missouri. Dove – guarda caso – c’è una chiesa dedicata a Sant’Ambrogio. E se solo Bill Bertani non si fosse infortunato prima della spedizione mondiale la colonia italica sarebbe stata ancora più nutrita. Italians do it better per dirla con Madonna, celebre cantante americana dalle origini abruzzesi. Con una pallone tra i piedi l’abbiamo sempre fatto meglio dei maestrini della perfida Albione. Anche sotto mentite spoglie a stelle e strisce.
Marco Battistini