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Coppe europee: una questione di “mentalità” dietro le sconfitte delle italiane?

by Marco Battistini
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Roma, 27 mar – A circa due mesi dalla fine dei giochi, l’andamento del campionato sembra aver preso una direzione ben precisa. L’Inter tenta l’allungo decisivo, il Milan – dopo uno straordinario girone d’andata – sembra aver segnato il passo e la Juve proverà fino alla fine a non farsi scucire dal petto quel simbolico triangolino di stoffa nato un centinaio d’anni fa dall’inventiva dannunziana. Dietro di loro una serrata lotta tra l’Atalanta e le grandi del centro-sud per accaparrarsi il miglior posto possibile nelle griglie continentali.

Qualificazione alle coppe europee che, oltre al prestigio sportivo, porta con sé una bella vagonata di quattrini. 15 milioni fissi per la “sola” partecipazione alla fase a gironi della Champions, bonus per ciascun risultato utile conquistato e premi crescenti ad ogni passaggio del turno che, in caso di vittoria finale, ammontano a una cinquantina di milioni. Tra i 500 e i 600, invece, quelli totali messi a disposizione dall’Europa League, da suddividere tra le partecipanti.

Coppe europee: un susseguirsi di delusioni

Anche quest’anno però sul campo le italiane hanno saputo regalarci poche soddisfazioni, confermando il trend così delle ultime stagioni. Inter fuori prima di Natale, Juve che all’estero non mangia la colomba, Lazio demolita dai campioni in carica del Bayern, Atalanta ancora una volta generosa ma sfortunata. Non va meglio nella sorella minore della coppa dalle grandi orecchie. Il Napoli non ha superato i sedicesimi, il diavolo rossonero si è arreso a quello rosso d’albione, rimane solo la Roma.

Salvo qualche eccezione – come il cammino agostano dei nerazzurri in Europa League – i “mercoledì da leoni” sono ormai uno sbiadito ricordo. Lontana la primavera del 2003 con 3 semifinaliste Champions su 4. Lontanissimi l’aprile 1989, quando nella stessa serata conquistiamo tre pass per altrettante finali (Sampdoria in Coppa delle Coppe, Napoli in Coppa Uefa e Milan – Coppa dei Campioni) e quello del 1990 (Sampdoria in Coppa delle Coppe, Juventus e Fiorentina in Coppa Uefa, e Milan sempre in Coppa dei Campioni).

Chi perde spiega

Julio Velasco, c.t. italiano di pallavolo maschile ai tempi della “generazioni di fenomeni” amava ripetere che “chi vince festeggia, chi perde spiega”. E infatti sulle cause di questo ormai cronico ritardo rispetto al calcio spagnolo, inglese e tedesco sono stati spesi fiumi di parole. C’è chi ha parlato di qualità tecnica, chi di intensità e chi di esasperazione tattica da parte dei nostri allenatori. Vero è che in Spagna e in Germania hanno già riscosso i dividendi dell’importante lavoro svolto sui settori giovanili.

Giusta, in parte, l’osservazione di chi dice che nel resto d’Europa la minor importanza data all’aspetto tattico favorisca la velocità del gioco. Non tutte le colpe sono da imputare però ai giocatori. Il ritmo delle gare è scandito anche dalla direzione arbitrale, non servono statistiche per capire che le partite in Italia sono molto più spezzettate rispetto agli incontri infrasettimanali delle coppe europee, dove spesso – e giustamente per chi scrive – “si lascia correre” su contrasti al limite.

L’importanza della testa

Nelle ultime settimane ha preso piede un controverso pensiero, ossia il fatto che l’uscita anzitempo dalle coppe europee comporti un bonus da sfruttare in campionato. Un evidente sintomo di “tarlo mentale”. Esplicite in tale senso le parole di Allegri – due argenti Champions in 5 anni bianconeri – nel marzo ‘19: “Quando sono arrivato c’era gente che aveva paura di giocare col Malmoe”. Certo, lo scudetto si alza tra aprile e maggio, ma una veloce analisi delle ultime annate ci fa capire come la Juve ha blindato i suoi successi tra gennaio e febbraio, quando nessuna squadra trae vantaggio (o svantaggio) dalla partecipazione a diverse competizioni. Anche l’attuale capolista, l’Inter, ha costruito il proprio tesoretto prima che l’effetto “exit” avesse potuto dare i suoi frutti. Ultima squadra a vincere qualcosa fuori dai confini, nel 2010 arrivò in fondo su tre fronti e, giocando ogni tre giorni, finì in crescendo.

Coppe europee: la sfida alle stelle

Se il decennale digiuno nelle coppe europee può essere quindi in spiegato con motivi prettamente tecnici – effettivamente per qualche anno abbiamo assistito ad una congiuntura negativa di tutto il movimento culminata con l’esclusione dal mondiale russo – non dobbiamo sottovalutare però il fattore mentale. “Vincere aiuta a vincere” non è solamente un luogo comune, ma è un’attitudine che diversi club sembrano aver smarrito.

Forse manca quella scintilla – l’alzata al cielo di una coppa – che dia il là al resto della squadre italiane. Per quest’anno la fiammella della speranza è tenuta viva dai giallorossi. Non ci resta quindi che tifare per quei ragazzi che sopra al cuore portano il fondatore della città eterna e uno dei nostri più importanti animali totemici. Perchè ripartire sotto il segno di Romolo e della lupa potrebbe essere davvero propiziatorio. I tifosi aspettano solo che la nostra nuova – calcistica – sfida alle stelle possa avere inizio.

Marco Battistini

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Fabio Crociato 28 Marzo 2021 - 12:17

Non è che forse sono favoriti (non solo sul campo), gli “indebitati d’ onore”?

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