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Giovanni Trapattoni, il Re Mida del calcio italiano

by Marco Battistini
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giovanni trapattoni

Roma, 7 nov – Oltre cinquant’anni di carriera per mettere insieme il diavolo e l’acqua santa e far trionfare le eterne rivali Juve e Inter, oltre che Bayern, Benfica e Salisburgo. Sintetizzando il catenaccio italiano con il calcio totale, annullando Pelé, Eusebio e facendosi scippare un Mondiale dalla mano galeotta di un Titì Henry qualsiasi. Ma andiamo con ordine.

Il decennio d’oro di Trapattoni: i 13 trofei con la Vecchia Signora

Appesi gli scarpini al chiodo e archiviati i successi da calciatore con la maglia del Milan l’ex centrocampista difensivo di Nereo Rocco decide di prendere in mano lavagna e fischietto per dividersi tra il settore giovanile e la prima squadra – in veste di collaboratore – della società rossonera.

E’ però il presidente della Juventus Giampiero Boniperti ad intuire il potenziale dell’emergente tecnico. Sotto la Mole il Trap darà infatti vita al decennio d’oro della compagine bianconera. L’innovativa zona mista – oltre a influenzare l’Italia campione del Mondo di Bearzot – porterà infatti a Torino 6 scudetti, 4 coppe europee, 2 coppe Italia e l’Intercontinentale.

Lo scudetto dei record e le vittorie germaniche

Avaro di soddisfazioni è invece il primo biennio interista di Giuanìn. La balbettante macchina interista viene però perfezionata nell’estate del 1988, quando il patron Pellegrini inserisce nel motore di una squadra già valida Brehme, Matthäus, Bianchi, Berti e Díaz. Le idee chiare e la concretezza di “mister 7 scudetti” fanno il resto: campionato archiviato con 5 giornate d’anticipo e 58 punti conquistati su 68 disponibili. Seguiranno la Supercoppa Italiana e la Coppa Uefa (1991).

C’è tempo per un altro trionfo europeo – ancora con la Juve – e per la prima (sfortunata) esperienza oltre l’arco alpino. A chiamare Trapattoni è il Bayern Monaco, ma il matrimonio durerà una sola stagione. Nonostante sia da dimenticare anche l’esperienza isolana in quel di Cagliari, il tecnico di Cusano Milanino – tornato nel frattempo in Baviera – si riscatta (insieme ad un altro italiano, il centravanti Rizzitelli) vincendo Bundesliga, Coppa di Lega tedesca e, nell’anno della famosa sfuriata su Strunz, Coppa di Germania. Chiude il millennio, con qualche rimpianto, a Firenze. Senza i problemi fisici di Batistuta e la saudade di Edmundo ad inizio 1999 probabilmente quella in viola sarebbe stata una storia diversa.

La nazionale di Trapattoni: il furto coreano e l’amaro biscotto scandinavo

Con una nazionale da urlo – Buffon, Nesta, Cannavaro, Maldini, Pirlo, Del Piero, Totti, Inzaghi, Vieri – l’esperienza da cittì è legata a due episodi nefasti. Prima nel 2002 in Corea, con l’anomalo (a dir poco) arbitraggio dell’ecuadoregno Byron Moreno. In seguito, a Euro 2004, il biscotto a forma di 2-2 sfornato a un minuto dalla fine del girone eliminatorio da Svezia e Danimarca.

Dopo gli azzurri le ultime panchine. Bene in Portogallo e Austria, meno la terza parentesi teutonica alla guida di un comunque ambizioso Stoccarda. Ultima tappa, la selezione irlandese, con la qualificazione agli europei del 2012 e – due anni prima – l’indigesto epilogo ai supplementari, contro la Francia, negli spareggi per il mondiale sudafricano.

Non solo “non dire gatto”

Quello che è uno dei tecnici più vincenti della storia del pallone nostrano – ma anche europeo – è sicuramente, in campo come in panchina, tra le migliori espressioni della scuola calcistica italiana. Fine intenditore dell’arte pedatoria ma anche portavoce – a modo suo – della saggezza popolare. Perchè “se non si può vincere bene, che almeno si vinca. I risultati restano, le squadre spettacolari e le parole durano ventiquattr’ore”.

Nelle parole da magnanimo comandante (“i giocatori sono liberi di fare quello che dico io”) i segreti di questo Re Mida che fischiando con due dita ha trasformato tutto ciò che ha toccato in memorabili vittorie.

Marco Battistini

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