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Olimpiadi: un’Italia lentamente in declino. E senza pianificazione

by Nicola Mattei
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italvolleyRoma, 22 ago – Si sono conclusi nella notte, con la cerimonia di chiusura allo stadio Maracanà, i giochi della XXXI Olimpiade. Fra conferme, esclusi eccellenti e qualche delusione, l’Italia porta a casa la nona posizione con 8 ori, 12 argento e 8 bronzi, in linea con le edizioni precedenti di Pechino 2008 e Londra 2012.

La domanda é d’obbligo: si poteva fare di meglio? Pesa la cocente delusione della pallavolo maschile, alla terza finale persa in vent’anni e ancora a secco di ori nella competizione a cinque cerchi, che ci avrebbe proiettato un posto più in alto nella classifica per nazioni. Al di là delle gesta di Zaytsev e Birarelli, però, l’impressione è che il problema sia di sistema. Rispetto a giochi più indietro nel tempo, infatti, siamo decisamente in arretramento. Ad Atlanta e Sydney gli ori furono 13, ad Atene nel 2004 10. Restiamo sempre nelle prime posizioni, ma mentre gli altri cercano di sopravanzarsi a vicenda noi, senza fretta ma senza tregua, continuiamo a perdere un pezzo alla volta.

Certo, si dirà, per sostenere lo sport servono soldi. Tanti soldi, nell’ordine delle centinaia di milioni l’anno. Cifre attualmente non nella nostra disponibilità, ma d’altra parte il sistema di finanziamenti quasi a pioggia o, peggio, discrezionali, sicuramente non aiuta. Ciò che manca, in estrema sintesi, è un’accurata pianificazione. Senza scomodare Stati Uniti e Cina, modelli peculiari e difficilmente applicabili se non nel lungo termine, di seria pianificazione si parla invece, da anni, dalle parti di Londra. Il sistema è peculiare: ogni anno i fondi, provenienti dai ricavi della lotteria nazionale, sono erogati secondo uno schema premiale per il quale finiscono a chi ha maggiori potenzialità e, soprattutto, dimostra di poter raggiungere obiettivi di alto livello. Nessuna medaglia ai giochi in uno sport? Via con il taglio dei finanziamenti a quella disciplina, con le sterline risparmiate che finiscono invece a chi si è più distinto.

Si chiama merito, forse è eccessivo e può prevedere correttivi per incentivare/aiutare chi si trova un po’ più indietro con i lavori. Ad esempio, per tornare all’Italia, secondo questo schema l’atletica tricolore dovrebbe vedersi azzerati i contributi, finendo in un poco desiderabile tracollo totale. Ciò che conta è non avere la presunzione collettivista di tentare di portare tutti in alto, strategia che al contrario abbassa il livello generale. Sembra poco democratico? Lo è, ma d’altronde lo sport è l’esatto contrario della democrazia. E i risultati – dall’unico, mesto oro del 1996 agli 11 di quattro anni dopo ai 27 di Rio, in seconda piazza addirittura davanti alla Cina – danno ragione alla Gran Bretagna.

Nicola Mattei

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1 commento

Paolo 23 Agosto 2016 - 2:37

Mi scusi, Sig. Mattei; ma come possiamo pretendere una seria e costruttiva politica nei riguardi dello Sport (in generale) da un paese che – in ambito calcistico – privilegia la tendenza (mediatica e spettacolare) ad imbottire il campionato nazionale di stranieri, anzichè puntare seriamente sulla “coltivazione” dei “vivai” giovanili?

Ah, ma già che io non capisco niente di calcio. Niente, niente.

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