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Dall’ortofrutta al pallone: Dino Manuzzi fa grande il Cesena

by Marco Battistini
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dino manuzzi cesena

Roma, 3 ott – “Gente libera, sincera, entusiasta che viveva il gioco del calcio non solo come passione ma come promozione sociale: ha dato il suo forte contributo alla crescita della piccola patria divenuta nel tempo città ricca e fascinosa. Prima c’erano la Biblioteca Malatestiana e il Teatro Bonci, poi ci fu posto anche per la Fiorita dove si esibiva la squadra che portò a tutta la Romagna le visite aristocratiche della Juventus, dell’Inter, del Milan e del Bologna. Il più grande spettacolo del mondo”. Parole di Italo Cucci, chiamato direttamente dall’allora presidente a raccontare le imprese di quello che il saggista amava definire il piccolo Brasile.

Stiamo parlando del fu Associazione Calcio Cesena – oggi, in seguito al bruciante fallimento del 2018, la denominazione è cambiata nello stridente Football Club – la più importante compagine pedatoria romagnola nata nel 1940 (per essere precisi, il giorno del Natale di Roma) dalle ceneri dell’Unione Sportiva Renato Serra, fondata in onore dell’importante patriota locale.

L’arrivo del Manuzin

Il Conte Rognoni, carismatico fondatore, nel 1964 lascia le redine della squadra – che calca i campi della Serie C – a Dino Manuzzi. L’imprenditore ortofrutticolo ha il pregio di saper ancorare i bianconeri al proprio territorio. Innalzando così questa società modello (dall’accurata gestione economica e molto attenta al settore giovanile) ad autentico simbolo. Dopo un ventennio il cavalluccio torna quindi in cadetteria (1968) per varcare – il 10 giugno 1973 – i portoni della mai raggiunta prima Serie A. Con il sergente di ferro Eugenio Bersellini vengono centrate due salvezze consecutive. Saranno il trampolino di lancio per il punto più alto della centenaria storia calcistica cesenate.

“Non ho mai incontrato una provinciale così” dirà Pietro Anastasi, centravanti della Juve. E questa squadretta che stupisce lo stivale nella stagione 1975/76 si qualifica per la prima e unica volta a una competizione continentale. Il percorso europeo – raggiunto grazie al sesto posto con beffa ai cugini bolognesi, arrivati a pari punti ma puniti dalla differenza reti – dura però solo 180 minuti. Ai trentaduesimi di Coppa Uefa infatti il Magdeburgo si impone all’andata per 3-0 cedendo, in maniera indolore, alla Fiorita (3-1). E’ l’antipasto di una stagione indigesta, conclusasi con la retrocessione in Serie B.

Un Cesena tutto in famiglia: la palla passa a Lugaresi

A causa di qualche problema di salute Manuzzi – morirà il 29 maggio 1982 – lascia la presidenza al nipote Edmeo Lugaresi, anch’esso imprenditore ortofrutticolo, famoso – suo malgrado – “grazie” alla Gialappa’s. Nonostante l’italiano incerto, il carattere è quello deciso dei romagnoli: “Non è indispensabile avere una laurea e parlare bene per essere rispettato. Se hai il coraggio delle tue idee e non hai paura di dirle, guadagni la stima di tutti. E quando parlavo io, in Lega a Milano mi ascoltavano”. La stagione 1980/81 vede subito il ritorno nella massima serie, difesa poi nei primi mesi dell’anno che porterà al mondiale di Spagna con un brillante girone di ritorno che garantisce la permanenza in Serie A del Cavalluccio. A discapito di realtà ben più affermate come Milan e Bologna.

Il vivaio, fiore all’occhiello bianconero, ottiene due titoli primavera (1981/82 e 1985/86) e dona al movimento nazionale un apporto non indifferente. Dalle rive del Savio emergono un certo Arrigo Sacchi e giocatori del calibro di Sebastiano Rossi, Ruggiero Rizzitelli, Alessandro Bianchi e Massimo Agostini, il condor. Nel 1987 poi Bruno Bolchi – detto Maciste – riporta per la terza volta la serie A in Romagna, battendo negli spareggi il Lecce e la Cremonese.

Sull’esempio del “Meazza” di Milano e del “Ferraris” di Genova viene ristrutturato lo stadio – reso così uno dei primi ad esclusivo uso calcistico – e nel ‘90 un altro giovane allenatore dal futuro glorioso conquista un’insperata salvezza: il suo nome è Marcello Lippi. Dopo quasi trent’anni si spengono le luci della ribalta, ce ne vorranno altri 20 affinché Cesena torni a respirare aria di grande calcio. Infine le nefaste vicende contabili del 2018. “Uniti risorgeremo” recita il gigantesco striscione apparso in Curva Mare alla prima del “nuovo” cavalluccio nello stadio di casa. E pazienza se l’avversario non si chiama Juventus ma Francavilla, perchè in fondo il dna della provincia romagnola non è mai cambiato: forte territorialità, lavoro – soprattutto sui giovani – e grande entusiasmo.

Marco Battistini

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