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Genova: sulla Rsi una mostra che non la racconta giusta

by La Redazione
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rsiRoma, 10 mar – Sino al 16 marzo 2014 sarà in corso, nella sala Munizioniere del Palazzo Ducale di Genova, la mostra “Fascismo ultimo atto – L’immagine della Repubblica Sociale Italiana”, presentante una vasta e ben organizzata selezione di manifesti della RSI. Il materiale di propaganda, tratto dalle collezioni della Wolfsoniana e dell’Istituto Mazziniano, comprende molti dei più noti manifesti del periodo, come i “classici” di Gino Boccasile dedicati alla Decima MAS e alle SS italiane, a molto altro materiale di propaganda, diviso tematicamente; dal tradimento dell’8 settembre, al fronte interno, alla lotta comune per l’Europa al fianco della Germania, ai crimini Alleati, alle Forze Armate della RSI…

Le note positive di questa iniziativa si fermano, però, proprio alla vasta selezioni di manifesti, volantini e opuscoli di propaganda esposti; purtroppo, i testi della cartellonistica a commento delle varie tematiche spesso tradiscono, infatti, il più vieto conformismo alla vulgata resistenziale. Ecco, per esempio, cosa si legge nella presentazione della mostra:

“L’autorappresentazione dell’ultimo fascismo, quello più tragico della Repubblica Sociale Italiana, costituisce una sorta di disperato tentativo di costruire un’identità e un sistema di valori in grado di sorreggere un apparato statale sostanzialmente ininfluente e interamente dipendente dal dispositivo militare nazista”.

Ma la RSI fu realmente un “apparato statale sostanzialmente ininfluente e interamente dipendente dal dispositivo militare nazista”? In realtà, nonostante la difficile situazione italiana dopo l’8 settembre 1943, con l’Italia divisa in due dalla linea del fronte e da una guerra civile, e l’”alleanza difficile” tra Germania e RSI, la Repubblica Sociale Italiana mantenne durante i seicento giorni della sua esistenza una notevole autonomia in campo giuridico, economico e sociale.

Le fonti di questa nostra affermazione? Ne citeremo, tra le tante, una di certo non tacciabile di “essere di parte fascista”, ossia la sentenza del Tribunale Supremo Militare (della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza…) del 26 aprile 1954:

“Indubbiamente pressoché immutato era rimasto l’ordinamento giuridico esistente nella Repubblica sociale italiana; gli stessi codici, le stesse leggi venivano applicati dagli organi del potere esecutivo e dalla magistratura. L’organizzazione statuale si mantenne in piedi a mezzo delle autorità preposte (dei Prefetti, delle Corti e dei Tribunali, degli uffici esecutivi, delle Forze armate e di Polizia). Evidentemente l’Autorità tedesca ebbe allora ad inserirsi nella vita italiana del centro-nord, con i suoi principii e i suoi durissimi metodi di lotta; indubbiamente le autorità della Repubblica sociale italiana subirono spesso la pressione e le direttive del loro alleato, pur opponendosi talvolta con energia alle sue iniziative; ma tutto ciò non può mutare la posizione giuridica della Repubblica sociale italiana di essere un governo di fatto, sia pure a titolo provvisorio, che manteneva relazioni diplomatiche con alcuni Stati e intrecciava rapporti internazionali, quanto meno ufficiosi, con molti altri che pure non l’avevano riconosciuta”

Autonomia, quella della RSI, comunque superiore a quella del Governo Badoglio e dei successivi nell’Italia “liberata” e occupata dagli logo2angloamericani, dove nessuna decisione poteva essere presa senza il benestare dell’AMGOT (Governo Militare Alleato); anche la stessa Lira fu lì sostituita da una valuta d’occupazione, l’AM-Lira, che causò un’enorme inflazione. E nonostante i combattimenti, la guerra civile e i bombardamenti, l’amministrazione nei territori governati dalla RSI fu notevolmente più efficiente nel garantire servizi che il Regno del Sud, spesso incapace di fornire il minimo indispensabile ai propri cittadini: basti pensare alla rivolta del pane di Palermo del 19 ottobre 1944, stroncata con il piombo dall’esercito badogliano con 24 morti e 158 feriti tra gli uomini e le donne dimostranti.

La presentazione termina poi con le seguenti lapidarie affermazioni:

“La retorica del tradimento, dell’onore perduto, l’esaltazione della morte, del sacrificio e dell’estrema difesa della Patria consegnano in realtà un immaginario fragile e rancoroso incentrato sul lutto e sulla vendetta. La stessa che animò gli uomini e le donne della RSI nelle uniche funzioni a loro concesse dall’’alleato’ tedesco: la repressione dell’antifascismo, la persecuzione razziale, la deportazione di uomini e macchine per alimentare l’organizzazione bellica nazista”.

Purtroppo per gli estensori delle righe sopra citate, la realtà storica è ben diversa dagli slogan ideologizzati; tutti gli “uomini e le donne della RSI” non erano animati solo da una “retorica di rancore e vendetta”, come possono testimoniare, tra le centinaia di esempi, le seguenti righe di Aldo Resega, pluridecorato combattente durante la guerra d’Etiopia e nella seconda guerra mondiale, invalido di guerra e commissario di Milano nella RSI, assassinato alle spalle dai partigiani il 18 dicembre 1943:

“Se dovessi cadere lasciate che il mio sacrificio, come quello di tanti altri Martiri, rappresenti semplicemente il pegno della nostra rinascita. La tragedia dell’Italia vorrà forse il mio sangue? Io l’offro con l’impeto della mia fede. Lasciate che sgorghi senza equivalente, senza rappresaglie e senza vendetta. Così soltanto sarà caro e fecondo per la mia patria: dono e non danno, atto d’amore e non fomite d’odio, necessità di dolore e non veicolo di disunione maggiore”.

Ed è di una squallida faziosità ridurre quegli stessi uomini e donne a soli attori de “la repressione dell’antifascismo, la persecuzione razziale, la deportazione”, quando molti di quelle centinaia di migliaia di “uomini e donne” che costituirono le Forze Armate della RSI combatterono, per esempio, contro gli Alleati a Nettuno e sulla Linea Gotica in Garfagnana, sull’Abetone, sul Santerno e sul Senio, sulle Alpi Occidentali al confine francese, nel Goriziano respingendo i tentativi di annessione e pulizia etnica slavi; contro i bombardamenti terroristici Alleati nei reparti da Caccia e dell’Artiglieria Contraerea, sul mare con i mezzi d’assalto della Decima MAS nel Tirreno…

Infine, per quanto riguarda la legittimità delle FFAA della RSI, citiamo nuovamente la Sentenza del Tribunale Supremo Militare del 26 aprile 1954:

“Quando fu pubblicato l’armistizio dell’8 settembre 1943 una parte delle Forze Armate italiane non lo accettò e proseguì le ostilità contro il nemico e, cioè, contro gli alleati che avevano messo piede in Italia”. Si trattava “di considerevoli unità di terra, di mare e dell’aria. Ed allora il conflitto non ebbe a cessare: gli alleati fronteggiarono egualmente truppe tedesche e italiane, e solo più tardi, molto stentatamente, si attuò la cobelligeranza con reparti regolari italiani, fiancheggiati da formazioni partigiane”.

Allora, nel 1954, “c’era un giudice a Berlino”.

Oggi, nel 2014, questa mostra, pur interessante dal punto di vista iconografico, rappresenta l’ennesima occasione mancata di avviare un dibattito più equilibrato e meno “partigiano” sul Fascismo e sulla storia d’Italia nel Novecento.

Andrea Lombardi

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