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I Paesi Baltici tra Trump, Russia e Nato: prossimo casus belli?

by Paolo Mauri
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Paesi BalticiVilnius, 25 nov – Estonia, Lettonia e Lituania sono tre repubbliche baltiche facenti parte della Nato, e dell’Ue, che per questioni storiche e geografiche guardano ad oriente con sempre maggior preoccupazione rispetto ad altri Paesi dell’Alleanza Atlantica. I loro 6 milioni di abitanti complessivi hanno ben radicato nella propria memoria storica cosa il concetto di cosa voglia dire perdere l’indipendenza ed essere sotto il tallone Sovietico per quasi un cinquantennio.

L’adesione dei tre Paesi Baltici alla Nato più che all’Unione Europea va letta proprio in questo senso: cercare un ombrello militare difensivo che garantisca l’indipendenza di Vilnius, Riga e Tallin contro un possibile ritorno dell’espansionismo russo verso occidente. Preoccupazione condivisa da tutti i Paesi dell’ex blocco del Patto di Varsavia, in special modo Polonia, Repubblica Ceca e Slovacca, e Romania. Prima di addentrarci oltre nella trattazione del caso specifico è meglio specificare una questione: chi scrive pensa che, nonostante certe mosse della Nato siano da definirsi quanto meno azzardate, garantire la sicurezza ed il diritto all’indipendenza di uno Stato sovrano, di un popolo, sia sacrosanto, e tale questione non può essere sottaciuta solo per simpatie politiche o, peggio, personali. Se ci si rallegra per una Crimea tornata in seno alla “Madre Russia”, così ci si deve preoccupare per l’indipendenza di Vilnius, Tallin o Damasco.

Ed è proprio questa la preoccupazione che attanaglia in questo periodo storico i governanti dei Paesi Baltici, in particolare dopo l’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump: le sue dichiarazioni all’indomani del 9 novembre (ironia della storia) lasciavano infatti molto preoccupati i governi di Vilnius, Riga e Tallin. La volontà di disimpegnarsi dal teatro europeo (e mondiale) e soprattutto certe frasi riguardo al ridimensionamento dei compiti della Nato sono state come un fulmine a ciel sereno. Così sul Baltico è esplosa una febbre che non si vedeva in Europa da almeno tre decenni: la febbre del riarmo. Estonia, Lettonia e Lituania infatti, oltre ad effettuare esercitazioni militari in seno alla Nato, stanno effettuando addestramento per la difesa civile. “Il governo lituano sta effettuando troppe azioni che suggeriscono una guerra imminente, come esercitazioni militari ad una scala mai vista negli ultimi 25 anni e addestramento della difesa civile che sembra prepararsi per un’invasione o un attacco nucleare” sono le parole del sindaco di Rezekne, città lituana di confine, ma che sono condivise per le strade di Tallin così come di Vilnius o Riga. La popolazione civile sembra sentire molto questa spada di Damocle sul proprio capo, ed ha paura. E’ preoccupata per l’atteggiamento americano così come per il mobilitarsi delle Forze Armate russe, ed esprime preoccupazione anche la minoranza russa, che non crede alla linea di Mosca che parla di “oppressione dei russi” nei Paesi Baltici. Toni e sentimenti davvero da Guerra Fredda. Preoccupazione tanto più motivata da alcuni rapporti di analisti occidentali che considerano la difesa dei Paesi Baltici come un tallone d’Achille della Nato. Si legge infatti a chiare lettere che “NATO cannot successfully defend the territory of its most exposed members” ma anche che “A force of about seven brigades, including three heavy armored brigadesadequately supported by airpower, land-based fires, and other enablers on the ground and ready to fight at the onset of hostilities — could suffice to prevent the rapid overrun of the Baltic states”. Forze che, al momento, la Nato non dispone anche considerando il dispiegamento della Very High Readiness Joint Task Force (VJTF) che è composta solamente da 4 battaglioni. Sempre secondo gli analisti, sarebbero poi necessarie solo 60 ore all’Esercito Russo per arrivare alla periferia di Tallin o Riga, troppo poco tempo anche per il dispiegamento completo della IFFG  (Initial Follow on Forces Group) che richiederebbe almeno 72 ore, sempre che la Nato riesca ad ottenere la superiorità aerea e navale, cosa molto difficile secondo chi scrive.

Forse per questo lo stesso Donald Trump, a due settimane dalla sua elezione, si è sentito in dovere di rassicurare il Segretario Generale della Nato sulla continuità dell’impegno americano in seno all’Alleanza Atlantica: Trump dicendo che “Gli Stati Uniti rimarranno, fortemente impegnati nella Nato” non parlava solo a Stoltenberg, ma a quei Paesi, come i Paesi Baltici, che più sentono la pressione internazionale della Russia ai propri confini; una sorta di rassicurazione per interposta persona e la prima vera esternazione diplomatica del neoletto Presidente degli Stati Uniti. Resta sempre da vedere se, dopo l’insediamento a gennaio, Trump farà seguire alle parole i fatti.

Già, e cosa dicono i fatti? Hanno ragione a Vilnius o a Riga a dirsi preoccupati? Crediamo di sì.
Notizia recente è che la Russia ha schierato nella sua enclave baltica di Kaliningrad il sistema missilistico antinave K-300P “Bastion” (SS-C-5 “Stooge” in codice Nato), capace di ingaggiare, grazie a gittata e testata bellica, anche i gruppi da battaglia dotati di portaerei tramite i missili P-800 “Oniks” o conosciuti come “Yakhont” nella loro versione per esportazione (come quelli destinati alla Siria). Questo va ad aggiungersi al dispiegamento dei missili SRBM “Iskander” sempre nel oblast della vecchia Königsberg; un bel grattacapo non solo per i Paesi Baltici grazie al loro raggio di azione di circa 500 km, anche senza considerare che la Russia ha schierato direttamente ai margini dell’Europa i nuovissimi ICBM mobili tipo RS-24 Yars (SS-27 mod. 2 in codice NATO) già a partire dal giugno scorso. Anche la propaganda che si fa in quelle terre di confine, così lontane dal nostro modo di vivere, sembra essere di altri tempi: i russi, infatti, recentemente hanno usato strumenti da guerra psicologica invitando i soldati della Nato ad “abbassare le armi” sostenendo che “non sono difensori della pace” tramite potentissimi altoparlanti; roba da 38esimo parallelo insomma. Dall’altro lato la Nato e gli Stati Uniti non sono stati di certo a guardare: esercitazioni aeree, navali e delle forze terrestri si sono fatte sempre più frequenti nei Paesi Baltici e dell’Est Europa come la Polonia, senza considerare i turni di rotazione di caccia intercettori degli altri Paesi membri dell’Alleanza in chiave di aiuto alla difesa aerea di quella parte d’Europa.

Non sappiamo se il nuovo corso della Casa Bianca sarà come l’avvento di Gorbacev in Unione Sovietica, come abbiamo letto recentemente, quello che però sembra essere sicuro è il fatto che Lettonia, Estonia e Lituania (e anche Polonia) sono, giustamente, percorse da sentimenti “russofobi”, passateci il termine, e rischiano di diventare un casus belli con la Russia se verranno abbandonate a loro stesse, proprio per la loro appartenenza alla Nato.

Paolo Mauri

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