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Energia: l’avanzata asiatica e un futuro europeo sempre più incerto

by La Redazione
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Roma, 3 dic – Terzo capitolo  dell’inchiesta sulla sovranità energetica dell’Italia e dell’Europa e sugli scenari energetici globali. Economia globale, fonti rinnovabili e non e scenari futuri sostenibili, questo e molto altro nel lavoro del Prof. Gian Piero Joime. (IPN)

(Link al primo capitolo – Link al secondo capitolo)

Se si guarda lo scenario di riferimento della International Energy Agency (Iea), tra il 2012 e il 2030 il consumo di energia in Europa dovrebbe calare di 90 Mtep, mentre a livello mondiale si dovrebbe registrare un aumento di circa 3.300 Mtep, per lo più concentrato nell’area Asia-Pacifico, che progressivamente diventa il centro del consumo mondiale di energia e il perno attorno a cui ruotano quote crescenti del commercio internazionale di fonti energetiche. In questo intervallo di tempo la Ue continua a importare molta energia e a pagare annualmente una bolletta energetica di circa 530 miliardi di dollari all’anno; tuttavia, se nel 2012 questa cifra equivaleva grosso modo al 25% della spesa per importazioni di tutti i paesi importatori netti di energia, nel 2030 tale valore è stimato scendere al di sotto del 19%. Grazie anche al calo della domanda d’importazioni da parte di Stati uniti e Giappone, la Cina e l’India saranno per quella data di gran lunga i due principali importatori netti di energia al mondo, arrivando a sborsare circa 1.000 miliardi di dollari all’anno per coprire la differenza tra la produzione interna e i consumi domestici.

Lo spostamento del baricentro del commercio internazionale verso oriente è particolarmente evidente nel caso del petrolio e del carbone. Per quanto riguarda il petrolio greggio, già oggi circa la metà dei flussi internazionali di greggio ha come destinazione l’area Asia-Pacifico e, secondo la Iea, attorno al 2030 questa quota salirà ulteriormente, arrivando addirittura a circa il 70% nel 2040. Ciò significa che nel 2040 l’Asia- Pacifico importerà circa 29 milioni di barili di petrolio al giorno, a fronte dei circa 8 milioni di barili di petrolio al giorno che invece importerà la Ue. Questo aumento dovrebbe essere tale da esaurire non solo la capacità di esportazione dei produttori mediorientali, già oggi principali fornitori dei consumatori asiatici, ma richiedere addirittura la parziale deviazione dei flussi d’esportazione dalla Russia e dall’America, sia del Nord che del Sud, verso l’Oceano Pacifico e l’Asia meridionale. Analogo il destino previsto per il mercato del carbone: a fronte di un consumo mondiale in crescita e di un aumento degli scambi internazionali di circa il 40%, le importazioni nette della UE sono stimate diminuire tra il 2012 e il 2030 di quasi il 20%, arrivando a rappresentare per quella data meno del 15% della domanda mondiale d’importazioni.

Parzialmente diverso il caso del gas naturale, dove è previsto che la Ue mantenga il suo primato di maggiore importatore mondiale. Tuttavia, è ragionevole aspettarsi che nei prossimi anni alcuni produttori scelgano d’investire maggiormente nei giacimenti e nelle infrastrutture di trasporto necessarie a coprire i crescenti consumi asiatici, cinesi in primo luogo, piuttosto che la stagnante domanda europea. In questa prospettiva, è plausibile che la Russia e i paesi dell’area caspica continuino a spostare la loro attenzione verso oriente, potenziando la capacità di produzione e i gasdotti in funzione cinese anziché europea. Anche per quanto riguarda il Gnl, è probabile che la domanda resti forte nell’area del Pacifico, Corea e Giappone in primis, e che lo sbocco rappresentato dai mercati europei rimanga poco interessante per i paesi produttori, salvo forse quelli più prossimi alle coste europee.

In sostanza, dunque, nel corso dei prossimi anni i cambiamenti in atto e quelli che seguiranno all’accordo sul quadro energia-clima al 2030 ridimensioneranno non poco il peso dei mercati europei a livello mondiale, tanto che i prezzi e i flussi commerciali delle fonti di energia saranno sempre più determinati dalle dinamiche proprie dei grandi consumatori asiatici, a cui porranno crescente attenzione gli attuali partner energetici dell’Europa. Nel 2012 la Cina ha già superato la UE nella classifica dei maggiori importatori mondiali di carbone. Nei prossimi anni è previsto che anche l’India faccia lo stesso. Il panorama energetico europeo è dunque attualmente in una fase di transizione in cui stanno cambiando sia il modo in cui l’industria energetica è economicamente strutturata (transizione dai monopoli pubblici alla concorrenza su scala continentale), sia il mix energetico e le rotte di approvvigionamento. Questa evoluzione è sicuramente il frutto di cambiamenti nelle risorse e nelle tecnologie disponibili, nonché dei nuovi modelli di consumo, espressione di una società che invecchia e che cresce meno in termini di reddito monetario.

I rapidi mutamenti degli ultimi anni dipendono tuttavia molto anche dalle scelte politiche prese a livello europeo e nazionale. In particolare, la decisione di affrontare il cambiamento climatico e la sua presunta origine umana ha portato la Ue a definire obiettivi e politiche ambiziose per il 2020, la cui attuazione ha già iniziato a manifestare i suoi effetti sotto forma di minori emissioni di gas a effetto serra, maggiore ricorso alle fonti rinnovabili e minori consumi finali di energia. L’adozione da parte del Consiglio europeo di nuovi obiettivi in materia di clima ed energia per il 2030 e le misure di policy che verranno attuate da parte dell’Unione e dei singoli Stati membri incideranno ulteriormente sulla dinamica già in atto e spingeranno a una maggiore de-carbonizzazione del settore energetico europeo. Sulla base dei modelli previsionali della Commissione europea è ragionevole aspettarsi che i costi del sistema energetico per l’economia europea nel suo complesso aumenteranno leggermente, ma questo potrebbe essere più che compensato in termini di minori importazioni di energia dall’estero e di maggiore occupazione interna. Il conseguimento di una riduzione del 40% delle emissioni richiede, infatti, un maggiore ricorso alle fonti rinnovabili, le quali hanno bisogno d’investimenti iniziali elevati, ma successivamente presentano costi variabili minori e sono tipicamente disponibili localmente. Da ciò deriva il secondo vantaggio della transizione a un’economia a basso contenuto di carbonio, quello di una minore dipendenza dalle importazioni e dunque una maggiore sicurezza energetica. Tuttavia, è necessario sottolineare che nemmeno in presenza delle condizioni abilitanti ipotizzate dalla Commissione il sistema energetico europeo potrà fare a meno nei prossimi decenni dei combustibili fossili, sia di produzione domestica sia importati dall’estero. Allo stesso modo, i risultati delle simulazioni suggeriscono che vi sarà un aumento del costo dei diritti di emissione e dei prezzi dell’energia elettrica, cose che potrebbero danneggiare la competitività delle imprese manifatturiere energivore e minare il potere d’acquisto delle famiglie.

Gian Piero Joime

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