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“Io stuprata nei centri sociali napoletani”: l’agghiacciante racconto di una ragazza

by Cristina Gauri
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Roma, 28 feb – I centri sociali non nascondono solo un sottobosco di spaccio e associazioni sovversive, diventando sempre più spesso anche il fulcro di attività di sostegno e copertura di immigrati e delinquenti: proprio nei luoghi dove il tanto decantato verbo femminista dovrebbe trovare adepti che lo applicano religiosamente, ci si trova davanti a dinamiche “da branco” dove le donne vengono stuprate o molestate – e minacciate, se parlano – (vedi il caso di Parma) nell’omertà generale, quando addirittura non sono le stesse militanti dei csoa a “coprire” le aberrazioni compiute dagli uomini, o comunque a non denunciarle.

La lettera dell’ex-antagonista

Sarà per questo motivo che non ci siamo stupiti quando abbiamo letto la testimonianza di una ex militante di un centro sociale napoletano riguardo le violenze e gli abusi subiti dal proprio compagno (anch’esso impegnato nelle medesime lotte politiche e risiedente con lei nella struttura occupata). La lettera è pubblicata in forma integrale dal blog Stylo24 e racconta la storia del rapporto tossico tra i due, basato su abusi, ricatti morali, violenze, manipolazioni e un episodio di stupro, sullo sfondo di un csoa partenopeo. L’uomo è uno dei leader dello squat napoletano, con evidenti problemi comportamentali – e sicuramente l’abuso di sostanze stupefacenti, frequente nell’ambiente antagonista e che crea delle dinamiche di coppia alla Amore Tossico, non aiuta a coltivare una routine di sana convivenza. La ragazza parte con il descrivere l‘ambiente come «orrendo», un luogo «in cui molti uomini erano violenti con compagne, al punto che alcune erano finite all’ospedale». Il compagno è definito «un maniaco perverso, un manipolatore frustrato». Prosegue raccontando che «la sua violenza era soprattutto psicologica, anche se qualche volta mi ha spinta al punto di farmi volare dall’altro lato della stanza (davanti ai nostri coinquilini dell’epoca)». La ragazza racconta della sua decisione di volerlo lasciare, ma l’uomo – che si definiva pure «femminista» – minacciava di suicidarsi. Il culmine avviene quando il compagno della ragazza la forza ad avere un rapporto sessuale contro la propria volontà: «Stavo sul lato, ginocchia alzate e lui stava sul lato dietro di me. In quel momento sono diventata un cadavere». Non pago di questo, cerca di farla «stuprare da un’altra persona». Silenzio da parte degli altri occupanti, in particolar modo le donne: «Nessuno ha detto niente. Nessuna ha detto niente. Io alla fine sono riuscita a lasciarlo e sono tornata alla vita».

Ipocrisia e omertà

Emblematica la fine della lettera, dove la ragazza fa il punto della situazione: «Io ce l’ho con tutti i “compagni” che hanno guardato e sono stati zitti. Io ce l’ho con tutte le compagne che non si sono interessate al mio disagio. Alla fine, si sono accontentate di cacciarlo dallo spazio e dal collettivo per l’ennesima molestia: non è abbastanza. Nessuno ha detto niente. Nessuno mi ha guardato negli occhi. Poi uno si chiede perché tante persone smettono di fare militanza». Ipocrisia e omertà, praticati forse per evitare di screditare un ambiente e un movimento sul quale si gettano ormai più ombre che luci e che, quindi, replica «gli stessi meccanismi» che queste persone «dicono di combattere».

Cristina Gauri

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3 comments

Piero 28 Febbraio 2019 - 12:14

Inorridisco solo al pensiero che si possa impiegare il termine “militanza” (sostantivo che dovrebbe essere circonfuso di un alone sacrale) in riferimento a certe balordaggini da centro “sociale”.
Un branco di tossicodipendenti emarginati – spesso figli devianti di famiglie cosiddette ‘bene’ -, ai quali viene garantita una franchigia pressoché assoluta in quanto utili idioti non devono essere accostati neppure erroneamente alla parola “militanza”.
Paolo di Nella era un Militante.
Ciavatta, Bigonzetti e Recchioni erano Militanti.
Ramelli era un Militante.

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GioMazz 1 Marzo 2019 - 1:41

Spesso sono figli viziati di personaggi professionalmente stimati o comunque professionisti benestanti. I morti di fame figli del popolo vengono invece marginalizzati e considerati in quanto massa utile ai fini della “causa” …ma poi rimangono quello che sono cioè dei poveracci spiantati. Sia fuori che dentro questi centri sociali. Anche i “figli di” con la capigliatura rasta, cagnaccio al guinzaglio, braghe lerce e “ganja” pronta sono dei poveracci, ma vuoi mettere avere in tasca l’iPhone limited edition e arrivare tra i compagni a bordo di una berlinona tedesca – full optional col pugno chiuso fuori dal finestrino fumée ?

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maria 1 Marzo 2019 - 12:45

Bambina cara, purtroppo del senno di poi son piene le fosse

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