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Architettura e modernità: un dialogo difficile

by La Redazione
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architettura moderna
  1. Roma, 3 feb – Seguendo le tesi della “Kunstwissenschaft”, che definisce la nuova scienza dell’arte, nel XX secolo si cercò un nuovo approccio allo spazio architettonico. Secondo Riegl, storico dell’arte austriaco, ogni stile architettonico si basava su un nuovo progetto dello spazio. L’Art Nouveau, che interessava le arti applicate oltre l’architettura, proponeva una interpretazione psicologica delle forme architettoniche, in particolare con un’accentuazione degli aspetti decorativi. L’interesse per lo spazio facilitò ulteriormente questa rottura con l’uso di forme e archetipi storici.

Architettura: nasce lo stile internazionale

Dopo alterne vicende si arriva a Walter Gropius, architetto e teorico tedesco, che cerca di definire una “scienza del design” fondando il Bauhaus. Si trattava di una scuola che si proponeva, come primo obiettivo, quello di unificare arte e artigianato, ricorrendo anche all’uso di nuove tecnologie. Gropius distingueva diversi tipi di spazi, illusori, matematici, tattili e artistici e, nella loro percezione, riteneva che avessero un ruolo importante il movimento e lo spostamento dell’osservatore. Una tesi che riprendeva le idee di Adolf Hildebrand, scultore tedesco, che elaborò la teoria della pura visibilità. Gropius introduceva così il tempo come fattore essenziale nella percezione dello spazio architettonico e, allo stesso tempo, proponeva l’uso di superfici vetrate. A suo parere, queste consentivano di cogliere lo spazio architettonico in tutta la sua complessità, nel rispetto del continuum spazio-temporale agevolato dalla trasparenza dei volumi. Le idee di Gropius furono successivamente riprese dal pittore e fotografo ungherese Lázló Moholy-Nagy nel 1928. Così lo spazio e la visione in movimento divennero le basi teoriche del funzionalismo e dell'”international style”.

E’ importante citare a questo punto Theo Van Doesburg, esponente del Neoplasticismo, in quanto attribuiva allo spazio un ruolo centrale nel processo creativo, estendendo questo concetto anche alla formazione dell’individuo. Nel 1920 scrisse una frase-manifesto: “Io sono lo spazio”. Con questa premessa e dichiarazione di principio arrivò a definire le “leggi dello spazio”, avendole studiate anche nelle “loro infinite variazioni”. Precisava che Il ruolo dell’architetto era quello di comprendere queste variazioni allo scopo di creare uno spazio unitario ed equilibrato. Aggiungeva che nel progetto l’interruzione e la frammentazione delle pareti permettevano di superare la dualità interno/esterno.

La modernità si basa sulla volontà dichiarata di rompere con le tradizioni artistiche del passato. Ma all’inizio alcuni esponenti della modernità in architettura non avevano teorizzato in modo chiaro e consapevole le loro proposte spaziali. Secondo Frankl Giedion, storico dell’architettura, il XIXe secolo rappresenta una fase di transizione che conserva, anche se in modo attenuato, i principi dei periodi precedenti.

Si afferma un nuovo concetto di spazio

La storiografia architettonica sino ad allora si era occupata principalmente degli aspetti tecnici della costruzione. Con Giedion lo spazio moderno, nato con l’uso di nuove tecniche e nuovi materiali, introduce una visione più ampia e detta nuove regole costruttive.

Ma è con l’architettura “organica” di Frank Lloyd Wright che si arriva ad una visione di superfici aperte e comunicanti, attraverso l’eliminazione della distinzione fra spazio interno e spazio esterno. Sono elementi che si sovrappongono e fanno parte integrante dell’unità del progetto e si attivano nei momenti di relazione. Si può dire che l’esterno diventa un altro interno e viceversa, senza che si avverta una interruzione fra le parti. Un nuovo concetto del rapporto uomo-natura.

Ma presto sopraggiungono nuove esigenze. Ciò accade con l’affermarsi del pensiero funzionalista alla fine degli anni ’20, che portò gli architetti del movimento moderno a rispondere all’urgente domanda di abitazioni, diventato già un problema da risolvere in quel periodo. L’obiettivo estetico in parte si dissolve, se non scompare del tutto, a favore della ricerca e del perseguimento della massima redditività dello spazio. Quindi prevale una funzione utilitaristica e funzionalista.

A questo proposito una considerazione sul modo di affrontare lo studio complessivo va fatta. Per mezzo secolo, lo spazio dell’architettura è stato studiato più da sociologi, etnologi e geografi che da storici dell’architettura. Gli architetti, nelle loro analisi teoriche e nella loro pratica professionale, non si discostavano tuttavia dalla valorizzazione dello spazio. Ciò appare con evidenza nelle numerose pubblicazioni di quel periodo, che presentavano raccolte di modelli tipologici esposti in modo astratto, senza alcuna contestualizzazione storica.

Le scienze sociali protagoniste

Dalla fine degli anni ’60 la sociologia entra come protagonista nella considerazione di architetti e di storici che si occupavano della progettazione di nuove città. In Europa, la ricerca nelle “scienze sociali per l’architettura” conosce un forte sviluppo. Ciò dimostra che i modelli culturali prevalenti determinano la configurazione della produzione di massa in architettura. La questione dell’uso degli spazi è sempre in primo piano nel progetto e porta gli architetti a considerare la compresenza di aspetti tecnici e costruttivi con l’idea di abitare.

Christian Norberg-Schulz, essendo stato peraltro fortemente influenzato dall’insegnamento di Giedion, è uno dei principali protagonisti dell’evoluzione del concetto di spazio in architettura. All’inizio degli anni ’60, sulla base dell’osservazione della crisi del funzionalismo, tentò di fondare una teoria scientifica dell’architettura che si ispirasse alla psicologia della Gestalt, ovvero alla psicologia della forma. Poi, sotto l’influenza della fenomenologia di Husserl, ma anche di Heidegger per le sue opere sul concetto di abitare, affinò le sue riflessioni che miravano a rimettere l’uomo al centro dello spazio. Nasce un concetto di spazio, per così dire, esistenziale che si richiama al fatto che ogni azione umana riflette una certa idea dello spazio. Christian Norberg-Schulz era interessato a riscoprire il ruolo simbolico dell’architettura, oltre a valorizzare lo spazio in se stesso. In questo senso introduce il concetto di “luogo”, una visione più evoluta ed incisiva di quella dello spazio.

Roberto Ugo Nucci

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