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Askatasuna, il centro sociale onnipotente che se ne frega della legge

by La Redazione
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Askatasuna centro sociale

Roma, 21 mar – Del centro sociale Askatasuna ci siamo occupati più volte. L’ultimo aggiornamento riguardava la clamorosa decisione del Comune di Torino di “legalizzare” l’occupazione del palazzo che “ospita” i sedicenti compagni, poi ritirata qualche settimana fa a seguito della nuova legge sui beni comuni approvata dal Consiglio Regionale, in cui un comma stabilisce che i percorsi di riguardanti i succitati beni comuni “non possono riguardare beni immobili interessati da occupazione senza titolo nei cinque anni precedenti alla stipula del relativo patto di collaborazione”. Insomma un passo indietro. Ora però c’è una consapevolezza maggiore: gli occupanti di Askatasuna, da quel palazzo, non andranno mai via.

Askatasuna, occupazione a vita

Non hanno alcuna intenzione di andarsene, come hanno ribadito più volte in questi anni (anzi, decenni), gli occupanti del palazzo di Torino. E la titubanza del Comune che prima cerca di salvarli e poi rimane inchiodato a causa di una legge che glielo impedisce, si commenta da sola. Intanto dalla cittadinanza proseguono le manifestazioni di protesta. E l’assessore Maurizio Marrone si pone una domanda semplicissima: “Come è possibile che dentro al centro sociale Askatasuna ci sia ancora qualcuno che accende la luce di notte?”.

Un simbolo del potere

I centri sociali sono da sempre coccolati e protetti dalla politica ufficiale. Seppure da destra possono esporsi in senso contrario, spesso sono costretti anch’essi a fare marcia indietro. Nell’affare Askatasuna, lo scontro tra Regione di centrodestra e giunta comunale di sinistra ha fatto sì che l’ennesimo tentativo di istituzionalizzazione (o quasi) di una chiara situazione di illegalità cadesse nel vuoto. Senza toccare però il fatto che gli esponenti del centro, in quel palazzo, rimangono ancora. E forse rimarranno per sempre. Il motivo è semplice: quei ragazzi sono il simbolo del potere. Nel caso dei centri sociali, pure con l’aggravante di atteggiarsi a rivoluzionario e dissidente. Ci aggiungiamo un “ridicolo” per completare meglio il quadro.

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