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Attentati in Italia. Ma quale strategia, ecco perché il rischio c’è eccome

by Eugenio Palazzini
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Roma, 19 ago – Sul perché in Italia ancora non vi siano stati attentati terroristici, ovviamente considerando soltanto gli ultimi anni che hanno visto un’escalation di attacchi jihadisti in Europa targati quasi sempre Isis, c’è una gara a chi la spara più grossa. Qualche improvvisato analista azzarda addirittura: “Non li faranno mai perché non gli conviene”. Le teorie più in voga sono sostanzialmente quattro: siamo un Paese di transito; ci sono accordi tra servizi segreti (oppure con la criminalità organizzata) e terroristi come ai tempi delle Br che consentono agli attentatori di usare il nostro territorio a patto di non colpire in Italia; la nostra intelligence è più organizzata perché ha già avuto a che fare con il terrorismo negli anni settanta; la nostra storia coloniale è relativa e tutto sommato breve quindi non ci odiano abbastanza.

Basterebbe osservare ogni tanto la carta geografica e seguire le cronache per smentire queste teorie. Innanzi tutto l’Italia non è l’unico Paese di transito per il terrorismo senza frontiere. Gli attentatori che hanno colpito la Spagna non sono sbarcati sulle nostre coste, sono arrivati nella penisola iberica direttamente dal Marocco. I jihadisti che hanno colpito in Francia, in Russia, in Germania, in Svezia, in Belgio, in Finlandia, in Inghilterra, non avevano come unico punto di transito l’Italia, per quanto in alcuni casi vi siano passati, potevano entrare in Europa dalla Turchia (le cui frontiere in parte porose sono ben più penetrabili), dalla stessa Spagna, oppure evitarsi un lungo viaggio via terra grazie ai voli internazionali. Non tutti coloro che hanno compiuto attentati erano infatti già schedati come terroristi. L’Italia non è quindi il covo strategico e per questo intoccabile dell’Isis, non vi è affatto una regia unica che salvaguarda il nostro territorio perché indispensabile per colpirne altri.

E questo della “regia unica” è uno dei punti che smentisce la seconda avventata teoria: gli accordi tra servizi segreti e terroristi. Se negli anni di piombo vi erano organizzazioni strutturate, anche internazionali, che pianificavano attentati, oggi siamo di fronte a un fenomeno ben più complesso. Non c’è infatti unicamente la “cupola” dello Stato islamico, ci sono migliaia di potenziali emulatori, cellule che non si coordinano con i vertici dell’Isis, jihadisti dell’ultima ora che si radicalizzano sul web o in carcere, piccole compagini islamiste che nascono e muoiono in breve tempo. Anche ammesso che vi siano improbabili accordi con il Grande Puffo del califfato, che pure sui propri canali mediatici chiede puntualmente di colpire Roma in quanto centro massimo della cristianità, non basterebbero a renderci immuni dagli attentati.

Non siamo poi gli unici ad avere una lunga storia di terrorismo. La Spagna (senza considerare l’attacco di Al Qaeda a Madrid del 2004) ha avuto l’Eta, l’Inghilterra l’Ira, la Russia i ceceni, la Francia ha subito attacchi da fronti algerini, corsi e della stessa Eta. Qualunque cosa si pensi di queste vicende passate, in parte archiviate, i nostri servizi non sono affatto gli unici ad essersi confrontati (spesso in modo ambiguo, tra l’altro) con il terrorismo. C’è sicuramente in Italia una maggiore difficoltà di reperire armi al mercato nero, considerata la longa manus di mafia, ‘ndrangheta e camorra, ma come purtroppo abbiamo riscontrato i jihadisti colpiscono anche in altri modi. Bastano furgoni, esplosivi fabbricabili in casa, coltelli qualunque.

La questione della storia coloniale è poi oggettivamente ridicola. A parte l’assurdo senso di colpa (chissà cosa dovrebbe pensare uno spagnolo di settecento anni di dominazione islamica) e l’altrettanto fantasiosa convinzione che un diciassettenne marocchino cresciuto a pane e smartphone sia disposto a suicidarsi per i suoi avi soggiogati dagli europei, chi ha tirato fuori questa teoria dovrebbe spiegarci quale sarebbe la storia coloniale di Svezia e Finlandia.

Come mai allora l’Italia non è stata colpita? E’ essenzialmente una questione di numeri. Rispetto alle altre Nazioni europee che hanno subito attentati abbiamo ancora pochi (sempre in proporzione) islamisti radicalizzati, non abbiamo ancora interi quartieri delle nostre città fuori controllo e quasi inaccessibili alle forze dell’ordine come in Belgio, in Francia e in Svezia. Tanto meno enormi macroaree jihadiste in guerra con lo Stato come in Russia. Sempre in Francia secondo l’intelligence transalpina ci sono circa 250 terroristi tornati dalla guerra in Siria e in Iraq (con un totale di soggetti monitorati che ammonta a 15mila persone), in Italia i terroristi rientrati dal Medio Oriente pare non arrivino a dieci.

I numeri però non ci rendono inattaccabili, ci dicono anzi molto altro. Non si contano ormai più gli arrestati e gli espulsi dal nostro territorio perché in procinto di compiere attentati. Giusto per fare qualche esempio, a marzo quattro bosniaci sono stati arrestati perché stavano preparando un attentato a Venezia. Lo scorso anno un marocchino è stato arrestato perché pianificava un attacco a Sesto San Giovanni e altri quattro marocchini sono stati arrestati prima che compissero un attentato a Roma. Sono ovviamente soltanto alcuni casi recenti, anche oggi due marocchini e un siriano sono stati espulsi dall’Italia per motivi di sicurezza. Casi però che ci fanno ben capire come anche da noi il rischio terrorismo esiste, eccome se esiste.

Eugenio Palazzini

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[…] Author: Il Primato Nazionale […]

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L'Isis minaccia l'Italia. E Gentiloni risponde: "No muri, rilanciamo ius soli" 20 Agosto 2017 - 11:49

[…] Attentati in Italia. Ma quale strategia, ecco perché il rischio c’è… […]

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