Roma, 20 ago – Pronti. Partenza. Via. La serie A, il campionato più bello del mondo, non abbiamo smesso di credere alle leggende, ha acceso i motori. Juventus-Cagliari ha mostrato i campioni d’Italia vincenti sugli isolani, esordio della Var, mentre il Napoli ha passeggiato in quel di Verona. La voglia atavica di pallone finalmente finisce, dissetante come il sapore di una birra stappata in faccia al solleone di Ferragosto. “Anche se tutto va male, la ragazza ti lascia, perdi il lavoro, c’è sempre un campionato che inizia a settembre”: Nick Horby, ça va sans dire. Un agosto da impazzire, ottantaquattro giorno dall’ultimo atto della stagione 2016/17. Un’eternità. “Ricominciamo a respirare calcio vero, dopo che però tante cose che spesso abbiamo giudicato finte quest’anno si sono improvvisamente concretizzate”, scrive nell’edizione del fine settimana de Il Foglio Beppe Di Corrado.
Quel palleggio, quel tiro a giro, quel nuovo giocatore pronto a far sognare la squadra del tuo cuore. Per anni abbiamo parlato di un pallone sgonfio, lasciamo da parte i Cristiano Doni e gli zingari a bordo campo, mentre ci ritroviamo con Luciano Spalletti in cabina di regia sotto il Duomo, sponda Inter, e Leonardo Bonucci all’ombra della Scala, sponda Milan, a dirigere il post-Berlusconi. Pare poco. Mai abbastanza per chi vive con il torcicollo degli anni ’80. Il calcio del ricordo, la maledetta sindrome di Proust. Ce ne faremo una ragione, mentre imprecheremo per i chili di troppo di Gonzalo Higuain o mentre rabbrividiremo davanti alla consistenza difensiva del Benevento.
Poi arriva lei, la Var. Video Assistant Referee. Una mano, concreta, all’arbitro ad uscire dalla categoria, damnatio, del cornuto. Ma aspettiamoci di vedere gli orrori della NFL in casa nostra. Attese infinite e perdita, definitiva, della dimensione del gioco. Il calcio ha bisogno del fato, dell’ineluttabilità del caso, del fortuito e dell’errore. Toglierlo condanna il Giampiero Mughini che è in noi. “Aborro”, tremendamente aborro. Le immagini delle telecamere sono per sempre, la fabbrica del controllo esulta come un qualsiasi Super Pippo Inzaghi.
Ora chi ci capisce di calcio, di letteratura e di radicalismo chic citerebbe Pier Paolo Pasolini. “Il calcio somiglia alla musica: la musica può forse essere spiegata con la musica? No, così il calcio: non ha nemmen bisogno della lingua per farsi intendere. Il calcio buca ogni linguaggio”, andiamo in Salento e ostinatamente rispolveriamo Carmelo Bene. Eppure il pallone può essere spiegato dagli spalti. E l’abolizione della Tessera del Tifoso, in tre anni, potrà far tornare finalmente la pelota negli stadi. Perché, scomodando John King, il calcio senza tifosi è zero. E le favole, come quelle del Crotone di Nicola, un pugno nello stomaco del vuoto.
Lorenzo Cafarchio