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Calcio negli States: un rapporto tormentato

by Roberto Johnny Bresso
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Calcio negli Usa

Roma, 7 apr – Il calcio negli States ha sempre avuto una storia molto travagliata e lo si può già comprendere dal fatto che lì lo chiamino soccer, per non confonderlo con il loro football, quello che noi chiamiamo per l’appunto americano. Negli Usa a combattersi l’attenzione dei media (che poi sono il Sacro Graal che muove sponsor e dollari) sono il baseball (America’s Favorite Pastime), il football americano (che con il Superbowl segna l’evento più seguito del paese), il basket (a partire dagli anni ’80 diventato una macchina da soldi) e l’hockey su ghiaccio (molto in crescita nel nuovo millennio).

Calcio negli States: una storia sorprendente

Eppure il calcio negli Stati Uniti ha fatto la sua comparsa praticamente prima di qualsiasi altro posto al mondo, Regno Unito escluso. Da ex colonia britannica, con milioni di immigrati provenienti dalla madrepatria, a Boston nel 1862 viene fondata la prima squadra, l’Oneida Football Club, mentre già nel 1885 contro il Canada fa il suo esordio la formazione nazionale, anche se la prima partita ufficialmente riconosciuta viene disputata nel 1916 a Stoccolma contro la Svezia. Gli Stati Uniti poi prendono anche parte al primo Mondiale, disputatosi in Uruguay nel 1930, giungendo terzi, il risultato tuttora migliore della loro storia.

Eppure quando il resto del mondo passa al professionismo il soccer perde completamente d’interesse nella nazione. Le motivazioni non sono del tutto chiare, ma vanno probabilmente ricercate nella mentalità stessa del popolo statunitense. Il calcio è infatti uno sport dal punteggio basso (dai tempi della conquista del West negli USA si predilige l’attacco alla difesa), che prevede ci possa persino non essere un vincitore (per indole gli americani non sopportano il pareggio) e, cosa assolutamente non trascurabile, non concepisce alcun tipo di pausa. Per noi europei è chiaramente un pregio, ma per la radio prima e la televisione poi ciò rende impossibile inserire spot commerciali ed ecco perché una nazione che aveva tutto per diventare dipendente dal calcio (del resto è formata da diverse comunità quasi tutte fanatiche dello sport più seguito del mondo) si trova a considerarlo come un qualcosa di alieno, al limite un passatempo per bambini.

La rinascita e i New York Cosmos

Non esiste quindi alcun campionato a livello professionistico fino a quando i Mondiali vinti dall’Inghilterra nel 1966, trasmessi a livello televisivo sul territorio, creano un inaspettato interesse, tale da spingere alcuni finanziatori a creare la North American Soccer League (comprendente anche il Canada), nota come Nasi, che partì finalmente nel 1968. Le acque iniziano a smuoversi nel 1971 con la fondazione da parte della Warner Bros. dei New York Cosmos, destinati a diventare l’immagine stessa del calcio in America. La strategia dei Cosmos fu chiara fin da subito: rendere cool il soccer. Per farlo iniziarono a reclutare vecchie glorie del calcio mondiale che però avevano grande appeal a livello mediatico: ecco quindi arrivare tra gli altri Pelè, Carlos Alberto, Giorgio Chinaglia e Franz Beckenbauer, che venivano regolarmente invitati allo Studio 54 per farli interagire con rockstar, attori e personaggi dello spettacolo. Per attirare gli spettatori allo stadio poi si cercò di creare un evento che andasse al di là dei 90 minuti, con tanto di mascotte (il celebre coniglio Bugs Bunny), cheerleader e musica a tutto volume. Le altre franchigie, per non essere da meno, applicarono lo stesso schema e persino George Best militò in diverse squadre. Dal 1975 le cose andarono sempre meglio, con la ragguardevole media spettatori di 14.000 persone a partita, con punte di oltre 77.000 al Giants Stadium per le partite dei Cosmos. Venne persino creata una lega indoor per la stagione invernale, che mischiava futsal ed hockey su ghiaccio (la palla era sempre in gioco), mentre nel calcio a undici vennero aboliti gli odiati pareggi, con tanto di shootout per decretare il vincitore. Inoltre ogni squadra aveva una vastissima selezione di merchandising, attività che era praticamente sconosciuta in tutto il mondo, Inghilterra, in parte, esclusa. Purtroppo però si trattava di una moda e non di un cambiamento culturale e, come tutte le mode, passò abbastanza rapidamente, tanto che la lega dichiarò bancarotta e nel 1984 chiuse definitivamente i battenti.

Paradossalmente però in Europa il modo di fare business della Nasi venne recepito per svecchiare alcuni aspetti del calcio e per renderlo ancora più televisivo, tanto che, ahi noi, guardando ora una qualsiasi partita di Serie A ci possiamo ben rendere conto di quando il nostro calcio si sia “americanizzato”. Invece in patria il soccer per diversi anni divenne appannaggio di studenti universitari e donne, fino al rilancio dovuto all’assegnazione agli USA dei Mondiali del 1994. La federazione quindi nel 1993 creò, sempre insieme al Canada, la Major League Soccer (MLS), che riscuote ancora oggi un discreto successo, con un mix di vecchie glorie (pensiamo a Lionel Messi) e di nuovi talenti emergenti. Inoltre diversi imprenditori americani hanno deciso di investire nel calcio europeo, comprando importanti società (pensiamo solamente in Italia a Milan, Roma, Fiorentina, Atalanta e Genoa), società che poi in estate disputano amichevoli sul suolo americano che hanno raggiunto persino punte sugli spalti di oltre 100 mila spettatori! Inoltre le televisioni permettono di vedere tutte le partite e, in particolar modo quelle della Premier League, alcune sono diventate dei veri e propri eventi con ritrovi molto frequentati di gente nei bar e in questo ha contribuito in parte la serie tv Ted Lasso, della quale vi ho già parlato su queste pagine, e che ha affrontato in maniera ironica e intelligente il rapporto degli americani nei confronti del calcio. Certo molto è anche dovuto al fenomeno dell’immigrazione nelle grandi città, mentre nell’America profonda e rurale il calcio resta, e penso resterà per sempre, una sorta di oggetto misterioso adatto al resto del pianeta. Resta comunque il fatto che nel 2026 gli USA, insieme a Canada e Messico, ospiteranno per la seconda volta un Mondiale ed è facile prevedere una sostanziale crescita dell’interesse medio.

Concludo con un paio di curiosità: i New York Cosmos esistono ancora, ma solo a livello di formazioni giovanili e se vi chiedete da cosa derivi il termine soccer, beh molto probabilmente la risposta vi sorprenderà. Infatti non è una parola creata negli USA, bensì in Inghilterra a fine ‘800: stava ad indicare in gergo la Football Association, in contrapposizione a rugger che invece identificava il rugby. A partire dagli anni ’20 abbandonata nel Regno Unito la parola trovò fortuna solamente negli Stati Uniti, in Australia ed in Nuova Zelanda.

Roberto Johnny Bresso

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