Cartastràccia, il libraio di Altaforte racconta Bobby Sands
Roma, 8 lug – «Avevo ormai più di 18 anni» ricorda Bobby Sands, in merito alla sua scelta di entrare nell’IRA «ed ero cresciuto nella violenza, non importava quanto io ci provassi, quante pietre tirassi. Non riuscivo mai a batterli, gli inglesi tornavano sempre. A 18 anni e mezzo entrai a far parte dei provos e andai ad affrontare la potenza di un impero». Una vita, la sua, passata a combattere per la libertà della sua Nazione e della sua fede cattolica, nell’indifferenza del mondo moderno e del governo inglese che l’ha visto spegnersi a poco a poco durante il suo sciopero della fame nel famigerato blocco H del carcere di Long Kesh, dove morì il 5 maggio 1981.
Non era la sua prima volta in carcere, era stato arrestato già a soli 19 anni, ma ne era uscito più determinato che mai a combattere per la sua idea. Se gli inglesi pensavano di spaventare un ragazzino facendogli passare tre anni in carcere, in realtà non fecero altro che aggiungere un ulteriore tassello per creare il rivoluzionario che sarebbe diventato: «Quando fui rilasciato nel 1976 ero più che mai deciso a battermi per la liberazione del mio Paese. Non mi fermerò finché l’Irlanda non diventerà una sovrana, indipendente repubblica socialista».
Bobby Sands, il nostro giorno verrà
Nel suo diario dal carcere, scritto di straforo sulla carta igienica, Un giorno della mia vita, racconta quei giorni terribili: «C’erano momenti in cui avrei preferito essere a Milltown (il cimitero dove sarà sepolto), quando tutto si faceva così insopportabile che non t’importava nulla di essere vivo o morto, pur di scappare via da quell’incubo infernale». Eppure, nelle carceri e tra i detenuti, malnutriti, pestati e perseguitati per la loro fede nazionalista e cattolica aveva diffuso una sorta di mantra, che li teneva svegli, vigili e alimentava la speranza, nonostante tutto: «Tiochfaith àr là!» (che in gaelico significa “il nostro giorno verrà”).
La faccenda degli hungerstriker ebbe così risalto che, addirittura, Bobby Sands, mentre si trovava in carcere ed era al 40° giorno di sciopero della fame fu eletto alla Camera dei Comuni per il distretto di Fermanagh/South Tyrone, nelle file dello Sinn Fein, il partito indipendentista e cattolico. Vinse con solo 1.500 voti di scarto contro il suo concorrente lealista. Naturalmente la sua vittoria fu solo un simbolo, poiché non cambiò le condizioni in cui versava nella cella di Long Kesh, ormai ridotto a uno scheletro e prossimo a una tragica fine. Eppure, in quel momento, un deputato della corona britannica giaceva in una di quelle celle.
La risata dei nostri bambini
Dopo 66 giorni di sciopero della fame, morì. Era il 5 maggio 1981, non pesava più di 50 chili. Ci avevano provato tutti a chiedergli di rinunciare a quella protesta: la sua famiglia, lo Sinn Fein, persino la chiesa cattolica e il Papa in persona. Ma non aveva desistito. Voleva che il mondo intero riuscisse davvero a comprendere cosa stava accadendo in Irlanda, a costo della sua vita.
L’ultima pagina del suo diario, datata 17 marzo 1981, il giorno di San Patrizio, parla della lotta che corpo e mente ingaggiano durante lo sciopero della fame. Tra i due, vince la mente. E conclude così: «Non mi stroncheranno perché il desiderio di libertà e la libertà del popolo irlandese sono nel mio cuore. Verrà il giorno in cui tutto il popolo irlandese avrà il desiderio di libertà. Sarà allora che vedremo sorgere la luna».
Ma l’immagine più bella che resta di lui è il murales che si può vedere sulla sede dello Scinn Fein a Belfast. Lì è dipinta una frase che racchiude il suo essere e il suo pensiero: «La nostra vendetta sarà la risata dei nostri bambini».
Leggi anche: “Vedremo sorgere la luna”: 35 anni fa il martirio di Bobby Sands
Lorenzo Cafarchio