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Chi crede che a certi livelli la giustizia sia “reale” è un ingenuo o un complice

by Stelio Fergola
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Roma, 19 mar – La maxi-inchiesta di Perugia è l’ennesima dimostrazione di quanto, a livelli massima di politica (e non soltanto, come emerge dalle ultime carte delle indagini guidate da Raffele Cantone), non si possa parlare quasi mai di una giustizia vera e propria. Ma al massimo – nella migliore delle ipotesi – di coincidenze tra la parola “giustizia” e la necessità di modificare equilibri di potere. Lo abbiamo visto con Mani Pulite, lo stiamo osservando con le figuracce rimediate dalle toghe negli ultimi anni, ce ne siamo accorti perfino nel mondo del pallone, sconvolto adesso da un’ulteriore “contro-inchiesta” dopo quella che aveva sconvolto gli ambienti della Juventus negli scorsi anni.

La giustizia non esiste, per lo meno nelle alte sfere della politica e della notorietà

Dai tempi di Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, da tutto ciò che è emerso successivamente e addirittura in tempo reale su certi personaggi (gran parte delle inchieste finite nel nulla, condanne spesso capziose o parziali), dallo stesso tono della cosiddetta Mani Pulite e da tutte le considerazioni emerse postumo, difficilmente possiamo sostenere che la giustizia esista. Per lo meno nelle alte sfere della società. Ovviamente, è possibile e perfino plausibile che un noto personaggio in vista, chiunque esso sia, possa essere colpevole di qualsivoglia reato. Ma nella stragrande maggioranza dei casi le inchieste partono con il solo scopo di emarginarlo dall’ambito in cui, evidentemente, è scomodo. Che sia colpevole o addirittura innocente conta poco. L’unica discriminante è rimuoverlo dalla sua posizione, in favore altrui, ovviamente. E questo “altrui” non è sempre molto più pulito. Un teatrino scoperchiato magistralmente dal libro più importante che sia uscito sul tema negli ultimi trent’anni: Il sistema di Alessandro Sallusti, con la collaborazione del “pentito” ex magistrato Luca Palamara.

Le migliaia di intercettazioni irregolari, le complicità con i giornalisti emerse dallo scandalo dossier di Perugia certificano per l’ennesima volta un inghippo che chi era più acuto poteva già dedurre dagli anni Novanta, contando semplicemente il numero di inchieste riguardanti lo stesso Berlusconi, probabilmente mai raggiunte neanche da un boss mafioso sotto processo.

Le poche “contro-inchieste” spesso finiscono nel nulla

Si pensi a Mimmo Lucano, dapprima preso di mira per la sua Riace immigrazionista e poi assolto in appello. Che ci sia una “guerra” tra tendenze opposte è evidente. Però poi vince praticamente sempre quella “nota”, quella assimilabile a visioni tipiiche della stessa “magistratura democratica” che nella società comune è come se non esistesse, per i guru dell’informazione, a loro volta ampiamente schierati da sempre con i potenti e con gli “interccettanti”. Adesso perfino il caso della Juventus diventa più dubbio. Dai dossier di Perugia emerge anche una “attenzione particolare” per la società bianconera, allo scopo di colpirla al primo momento buono. Uno degli indagati, che ha diffuso irregolarmente le intercettazioni e i documenti coperti da segreto istruttorio, del resto è “grande tifoso del Napoli” (come rileva La Verità), e attualmente in stato di patteggiamento. Insomma, c’è grande confusione e il cittadino finale – come è logico che sia – non sa che pensare. A meno di non appartenere aprioristicamente a una corrente, qualsiasi essa sia, e non mollarla per nessuna ragione. Neanche quella di voler almeno iniziare un tipo di ragionamento.

Stelio Fergola

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