Viadana (Mn), 5 lug – Viadana è un piccolo centro della bassa lombarda, meno di 20mila anime in riva al fiume Po al confine fra Mantova, Cremona e la vicina Parma. È in questa terra fertile non solo dal punta di vista agricolo che, 50 anni fa, sotto la guida della famiglia Saviola, nasce Composad, prima azienda in Italia nella produzione di soluzioni d’arredo in kit.
Oggi riunita sotto la holding Gruppo Saviola, Composad produce in un maxi-stabilimento di 100mila mq di superficie, con commesse da parte dei più importanti marchi di arredamento a livello mondiale: da Ikea a Leroy Merlin passando per Brico – stiamo parlando dunque di un’eccellenza manifatturiera italiana – dando lavoro a quasi 1500 dipendenti fra diretti e indiretti. I quali, però, a causa di un mix letale di sindacalismo conflittuale e cooperative, ora rischiano di ritrovarsi senza più azienda. Crisi della domanda, difficoltà del settore arredo che è intimamente legato a quell’edilizia che fatica a recuperare terreno? Niente di tutto questo, dato che Composad ha chiuso il 2016 con un fatturato record che sfiora i 100 milioni di euro.
Cosa succede allora? Succede che verso fine maggio, appena rinnovato il contratto per la gestione del magazzino, la cooperativa Viadana facchini è uscita dall’associazione temporanea di imprese che aveva in mano l’appalto e una neonata coop locale, la 3L, ne prendeva il posto. Accade quasi sempre, in queste evenienze, che i soggetti che si susseguono si impegnino a garantire i livelli occupazioni. Non nel caso Composad: dei 271 lavoratori della Viadana facchini, la 3L ha annunciato di poterne assumere circa 200, lasciandone così a casa almeno una settantina. Fanno peraltro discutere i criteri delle nuove assunzioni: pendono accuse di clientelismo, specie contro la Cgil che secondo alcuni favorirebbe troppa discrezionalità – c’è chi addirittura parla di accordi sottobanco – “pilotando” così le decisioni su chi lasciare a casa e chi no.
Parte da qui il doppio filone, sindacale e di protesta, che da allora tiene l’azienda sotto scacco. Da una parte le serrate trattative per cercare di limitare i licenziamenti e, dall’altra, i Cobas che tentano di impedire l’apertura dei battenti, picchettando gli ingressi, insultando e minacciando i lavoratori che volevano entrare. Il 26 giugno è uno dei momenti-chiave nella vertenza. Al mattino 5 soci della Viadana facchini salgono sul tetto del capannone, mentre la Polizia in assetto anti sommossa prova a rimuovere i blocchi ai cancelli. Non riuscendo nell’intento, decide allora di accanirsi contro il corteo, guidato dal consigliere delegato Alessandro Saviola, che nel pomeriggio si stava recando alla Composad: parte una carica e il lancio di lacrimogeni per evitare il contatto tra le fazioni, di fatto impedendo al rampollo della dinastia di accedere al suo stabilimento.
Nel frattempo proseguono i tavoli di confronto, ai quali partecipano anche i Cobas, il cui atteggiamento lascia però quasi più sgomenti rispetto a quello – già inqualificabile di suo – delle cooperative. Più volte sembra vicina la firma di un accordo, ma i Cobas fanno subito dopo sempre marcia indietro, lasciando di fatto in continuo stallo la situazione. Normale prassi del sindacato dell’estrema sinistra, sempre più a suo agio con il conflitto, il “riot” fine a sé stesso e incapace di formulare una qualsiasi strategia di più ampio respiro. E non senza lati oscuri: basti pensare alla squallida vicenda – emersa con gli arresti a gennaio del coordinatore nazionale Aldo Milani – delle mazzette da 90mila intascate da alcuni suoi dirigenti come compenso per smobilitare i picchetti alla Levoni di Castelnuovo Rangone, in provincia di Modena.
“Questa non è una battaglia sindacale – sbotta un altro consigliere delegato, Stefano Saviola – queste persone, che poi sono due, venuti da fuori, stanno usando gli operai, per la maggior parte stranieri, per i loro scopi personali. Non è una lotta per salvaguardare dei diritti, ma si sta facendo del marketing associativo. Vogliono fare delle tessere, tutto qui”. Dopo oltre un mese di difficoltà, intanto, la Composad fa i duri conti con la realtà di un’azienda chiusa o che lavora a ritmo ridotto da ormai più di un mese, è al limite di perdere importanti commesse e, a causa della doppia morsa di Cobas da un lato e cooperative dall’altro, può avere effetti nefasti per centinaia e centinaia di persone e le loro famiglie, le quali in fin dei conti chiedono solo di poter… lavorare.
Nicola Mattei
2 comments
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E che ci si poteva aspettare dagli eredi dei bolscevichi ?