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Dall’immigrazione al Covid: ecco dove il governo è partito col piede giusto

by Stelio Fergola
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Immigrazione covid governo meloni

Roma, 28 ott – Immigrazione clandestina prima, Covid poi. Presto per dare dei giudizi definitivi, chiaramente, perché siamo solo all’inizio. Ma si può dire che, almeno su alcune questioni cruciali, il governo di Giorgia Meloni abbia dato segnali abbastanza positivi: nel primo caso con una direttiva che intende impedire alle Ong di entrare nei mari italiani, nel secondo con il reintegro dei medici sospesi per non aver effettuato il vaccino contro il Covid.

I due buoni punti di partenza del governo

È necessario premettere quanto fosse anche scontato aspettarsi qualcosa di “immediato”, per lanciare dei messaggi chiari all’elettorato nell’ottica dei consensi. Non si tratta, insomma, di una novità tout court. Già in precedenti governi “non di sinistra” o “non Pd”, gli esecutivi si erano occupati di lanciare rapidi segnali forti. L’ultimo caso è stato chiaramente quello dell’esecutivo gialloverde, in cui Matteo Salvini, praticamente appena ottenuto il ministero degli Interni, si rese “popolare” per il “caso Aquarius”, impedendo ad una Ong di attraccare nei porti italiani. A quella azione seguì una politica che, con tutti i suoi difetti, mostrò una discontinuità nel corso dei mesi: questo portò consensi enormi alla Lega e al suo stesso leader.

Dunque, che il governo Meloni abbia iniziato con due azioni piuttosto rilevanti nelle materie dell’immigrazione e del Covid non deve sorprenderci: a meno di non essere completamente sprovveduti, dei politici con sale in zucca devono perseguire azioni simili. Specialmente se vengono promesse non soltanto in campagna elettorale, ma pure nel discorso programmatico di insediamento del nuovo presidente del Consiglio.

L’immigrazione sarà una guerra, più facile – forse – archiviare il disastro del Covid

Con la direttiva di due giorni fa, il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha lanciato un messaggio a due navi Ong, la Ocean Viking e la Humanity One, con il chiaro intento di vietare l’ingresso nelle acque territoriali italiane, puntando sulla Convenzione internazionale delle Nazioni Unite del diritto del mare. Con il provvedimento in corso di attuazione del ministro della Salute Orazio Schillaci, invece, si procede a una rivalutazione dei danni della gestione del Covid, tra commissioni d’inchiesta e il reintegro dei medici che – spesso per fondatissimi dubbi – non avevano voluto vaccinarsi.

Due questioni profondamente diverse, che condurranno probabilmente ad esiti diversi. Per l’immigrazione, la strada sarà lunghissima e insanguinata, ammesso che l’esecutivo prosegua con questa determinazione. E se lo farà, entreranno in gioco tutti i poteri possibili per cercare di ostacolarne l’azione come già era avvenuto ai tempi di Salvini: stampa e media si scateneranno, per non parlare nemmeno della magistratura. Sarà durissima.

Per quel che concerne il Covid, invece, è plausibile essere più ottimisti: il virus è ormai impossibile da sfruttare allo stesso modo come prima, vista la sua pericolosità prossima al nulla. La follia della gestione del coronavirus, in due anni in cui, lo ricordiamo, una malattia grave per una estrema minoranza (pure ben definita da statistiche per fasce d’età dell’Iss) ha portato all’assurdità di voler “vaccinare” tutta la popolazione (ragazzini compresi), e con un siero peraltro nemmeno capace di impedire il contagio. Ma adesso perfino quella minoranza pare prossima allo zero, senza contare che le attenzioni mediatiche sono ormai rivolte tutte alla guerra in Ucraina e alle preoccupazioni sacrosante che ne derivano. Dunque è improbabile ci sia un rigurgito in tal senso: l’azione del governo, in questo frangente, dovrebbe avere davvero ben pochi ostacoli.

Stelio Fergola

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