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Daverio: “L’Iran dei pecorai lasci stare l’arte”. Grasse risate da Persepoli

by Eugenio Palazzini
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davRoma, 29 gen – Philippe Daverio è un critico d’arte con i controfiocchi, ne sa e ha il dono non scontato di saperla spiegare. Su questo giornale già in passato ne abbiamo scritto, sottolineando pure il suo coraggio di denunciare la distruzione dell’architettura italiana a cui si è contrapposta l’edilizia, l’idea di spazio sostituita dalla speculazione, e concordammo con lui che definì questo processo involutivo una “conseguenza patologica dell’antifascismo”. A volte però anche i più raffinati osservatori possono cadere nel triviale ed è questo purtroppo il caso di Daverio. E non basta un papillon da dandy ad evitarti di scivolare nel politicamente corretto, quello più banale e scadente.

Intervistato da Lettera43 sull’indecorosa figura rimediata dal governo Renzi in occasione della visita di Rohani a Roma, lo scorso 26 gennaio, l’istrionico critico d’arte ha definito gli iraniani degli “ex pecorai con una cultura da ex pecorai” che non possono per questo occuparsi di arte. Di più, Daverio da fine storico e critico d’arte ha voluto improvvisarsi pure esperto di tecnologie. “Anche tecnologicamente – ha detto – non sanno fare i computer, non sanno fare le automobili. Il ‘barbone’ (Rohani, ndr) ha girato un po’, è stato in America, ma non è cambiato molto. Sostanzialmente sono gente che impicca tutti i giorni delle persone per mettersi di buon appetito. Non hanno niente a che vedere con noi, non è nemmeno detto che una trasfusione di sangue tra noi e loro potrebbe funzionare.”

E’ curioso che proprio lo stesso Daverio che cita l’America come simbolo di potenziale palingenesi antropologica non esitò a bollare gli angloamericani come “limitati dal punto di vista etico” e “decisi a distruggere la cultura europea con passione, la stessa con cui ora bombardano Bagdad”. Correva l’anno 2010 e il nostro Philippe condannava aspramente i crimini bellici alleati: “bombardare Cassino, o distruggere Brandeburgo a guerra finita, o il centro di Dresda” privo di insediamenti bellici? Ma tant’è, loro son così. Hanno fatto molto per affossare pure Pompei”. E’ ancora più curioso che Daverio si dimentichi adesso di dire che gli iraniani, proprio quelli che sono saliti al potere nel 1979 con la rivoluzione khomeinista, non hanno mai colpito siti archeologici a differenza degli angloamericani. Non li hanno neppure saccheggiati, a differenza dei raffinati amanti dell’arte inglesi che hanno asportato pezzo per pezzo le sculture del Partenone per collocarle al British Museum di Londra.

Il nostro Philippe poi non è nuovo a condannare, giustamente, lo stato deprecabile in cui versa Pompei. Peccato che poi vorrebbe “toglierla dalle mani degli italiani” per affidarne la gestione a illuminati stranieri. Chissà, magari proprio a chi bombardò Dresda e Montecassino, saccheggiò i siti archeologici greci, distrusse Brandeburgo? Perché sorvolando in questa sede su quell’arrendevolezza tipica dell’intellighentia di casa nostra che ci giudica incapaci a prescindere di gestire il nostro patrimonio artistico, soltanto perché loro stessi lo hanno ridotto in questo stato, vorremmo consigliare a Daverio di farsi una bella gita a Persepoli.

Noterà come questi “pecorai” gestiscono, in modo impeccabile, un sito archeologico millenario patrimonio dell’umanità. E se avrà il buon gusto di visitare il meraviglioso Iran, consigliamo al nostro Philippe, al di là delle innumerevoli mete imprescindibili come Ishafan, pure una visita a Gonbad-e Kavus per ammirare la torre- mausoleo ziyaride datata 1006 d.C. Scoprirà che a differenza di Capo Colonna, deturpata da cemento e degrado, se avrà l’accortezza di porsi a venti metri di distanza dal mausoleo potrà ancora sentire l’eco della propria voce salire all’interno dell’edificio. Perché se le onde di Poseidone in Calabria si infrangono tristi sul cemento che ricopre pilastri ellenici millenari, nessun Dio persiano piange la distruzione dei suoi di pilastri. Perché sono tutti ancora lì, splendenti. In Iran, Terra degli Ari non dei pecorai, Daverio.

Eugenio Palazzini

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giuseppe 31 Gennaio 2016 - 2:06

In Iran deve essere ripristinata la MOnarchia Costituzionale e deve terminare il periodo criminale degli ayatollah. Gli iraniani fino al 1979 erano al nosro stesso livello, ora in due anni Rouhani ha fatto impiccare 2.300 persone, tra cui centinai di adultere e omosessuali.
Come in Afganistan, che la Monarchia fino agli anni ’70 stava facendo uscire lo Stato afgano dalla ciminale religione islamica, cercando di separare Stato e religione islamica

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Milo 31 Gennaio 2016 - 3:11

Il regime dello Scià dell’Iran non era meno truculento di quello komehinista, anzi probabilmente lo era di più dal momento che almeno quest’ultimo rende pubbliche le esecuzioni senza preoccuparsi della vergogna che può suscitare negli altri Paesi, mentre la Savak, la polizia iraniana dello Scià, di certo non stava a tenere una contabilità pubblica. E poi, quella rivoluzione venne fatta a furor di popolo, a differenza di altre come quella nostrana partigiana aiutata dalle colonne angloamericane.

Per quanto riguarda l’Afghanistan, il processo è completamente diverso: i talebani vennero alla ribalta per contrastare i sovietici, che avevano l’ardire di maltrattare, per usare un eufemismo, le tradizioni spirituali dei popoli ritenendole dannose, radicalizzando l’islam nel Paese come era prevedibile.

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rino 31 Gennaio 2016 - 4:49

Se gli iraniani sono pecorari, gli anglosassoni da cui dipendiamo completamente, cosa sono?
Tra l’altro la radice etimologica del termine iran è da collegare con il vocabolo “arare”, quindi agricoltura, ovvero essenzialmente opposta a pastorizia..

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