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“Debellare superbos”. La “trincerocrazia” romana e la guerra contro Perseo

by La Redazione
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guerre macedonicheRoma, 15 nov – Gli anni successivi alla seconda vittoriosa guerra punica segnarono una forte espansione territoriale e politica da parte di Roma, che iniziò a decidere le sorti non più solo dell’Italia, ma anche della Grecia e dell’Asia minore. Tutte le popolazioni di quei territori impararono la differenza tra essere leali alleati di Roma piuttosto che nemici. Nonostante ciò, l’arroganza e la superbia si impadronirono di Perseo, figlio di Filippo, Re di Macedonia. Prima si adoperò per far condannare a morte il fratello Demetrio, come traditore: Demetrio infatti era stato inviato fin da piccolo a Roma come ostaggio e lì era cresciuto apprezzando lo stile di vita dei romani. Proprio perché si adoperava sempre per trovare un accordo con Roma, fu accusato dal fratello, che al contrario ambiva a fare della Macedonia il regno principale della Grecia, sottraendolo all’egemonia romana. Alla morte del padre Filippo, Perseo iniziò col massimo vigore i preparativi per la guerra. I romani inviarono dei legati per provare a risanare la situazione, ma questi furono a malapena ricevuti dal Re, che gli intimò di allontanarsi dalla Macedonia entro tre giorni. La guerra era inevitabile e Roma la affrontò, come di consueto, con la massima energia.

Certo, la preparazione del conflitto richiedeva tempo, fu così che i legati romani organizzarono un incontro con Perseo fingendo che ci fosse ancora spazio per trovare una soluzione pacifica, ma avendo in realtà in animo soltanto di differire lo scontro fino a che tutto non fosse stato pronto. Riferito al Senato questo piano, gli anziani disapprovarono e rimproverarono aspramente chi lo aveva elaborato: il motivo era che Roma aveva sempre combattuto e vinto grazie al valore dei suoi soldati e mai per via di sotterfugi che non appartenevano in nessun modo alle virtù dei romani. La malizia dei cartaginesi o l’astuzia dei greci non sarebbero mai dovute entrare a Roma. Il conflitto si protrasse fino a quando fu eletto console Lucio Emilio Paolo e a lui fu affidata la conduzione della guerra. Il console, già eletto più volte principe del Senato (fu anche augure) , era l’uomo più valoroso di cui disponesse Roma in quel momento. Nonostante avesse al tempo già compiuto 60anni ( fulgido esempio e sprone per i meno giovani a non sentirsi mai arrivati e per i più giovani invece a pensare che la milizia nella legione non si esaurisce negli anni di massimo vigore, ma può prolungarsi molto oltre), “viveva giorno e notte in tensione, valutando in cuor suo esclusivamente ciò che avesse pertinenza con il conflitto”.

In Senato, prima di partire, pronunciò un importante discorso in cui ringraziava tutti della fiducia ricevuta, che avrebbe ripagato con il suo massimo impegno. Precisò però che in città si faceva un gran parlare su come avrebbe dovuto condurre la guerra e con quali tempi, riconoscendo anche l’importanza dei consigli, ma ….chiarì che solo chi avrebbe combattuto con lui in prima linea sarebbe stato ascoltato e che avrebbe messo a disposizioni armi e tende per tutti i volontari, a tutti gli altri non rimaneva che godere degli agi della città senza intervenire su temi lontani: in poche parole, “trincerocrazia”. Ai soldati chiarì che solamente tre cose deve curare ogni legionario: il corpo per averlo sempre efficiente, le armi sempre pronte a combattere e razioni di cibo sufficienti ad affrontare ordini improvvisi; a tutto il resto avrebbero pensato gli Dei immortali e il comandante. Con questi presupposti, fu chiaro a tutti che ogni soldato si sarebbe battuto fino alla vittoria o ad una morte gloriosa.

Effettivamente l’esercito macedone fu poi annientato dalle legioni e il re fatto prigioniero con i suoi figli. Tito Livio racconta che il Console quando ricevette il messaggio da parte del re sconfitto, scoppiò a piangere meditando sul destino degli uomini, di come si potesse passare da essere un Re tanto potente al dover supplicare salvezza al vincitore. Eppure quando lesse il biglietto, fu indignato : “il Re Perseo augura buona salute al console Paolo”. La superbia albergava ancora nell’animo di quell’uomo che, pur sconfitto, continuava a ritenersi Re. Così la delegazione non solo non fu ricevuta, ma non gli fu data neanche risposta fino a che Perseo non accettò la sua nuova condizione. Ai suoi ufficiali Lucio Emilio invece disse: “Voi avete qui davanti agli occhi uno straordinario esempio di come possono variare le cose umane. Mi rivolgo soprattutto ai giovani. E dunque, quando la situazione è a noi favorevole, non si deve agire contro qualcuno con arroganza o violenza; e non ci si deve fidare troppo della buona sorte del momento perché non siamo tranquilli nemmeno su quello che ci può recare la sera. In poche parole, davvero uomo sarà colui che non si lascerà né trasportare dal soffio della buona fortuna né schiantare da quello della avversa”.

Marzio Boni

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2 comments

Anonimo 16 Novembre 2016 - 5:55

Complimenti per il bellissimo e significativo articolo. Penso che il tentativo della oligarchia che ci opprime di eliminare le nostre radici greco romane e la nostra cultura europea sia dovuta al fatto che sanno di quanta saggezza essa è intrisa. Facendo il paragone con oggi sarebbe lampante la differenza e la miserabile pochezza degli attuali dominatori e quindi vogliono evitare che noi si possa effettuare tale paragone. Ma si sbagliano !!!

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Fabio Filacchioni 17 Novembre 2016 - 7:25

Forza e Onore !

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