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Crescita: Italia penultima in Europa. E no, non ci salverà il referendum

by Filippo Burla
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Istat crescitaRoma, 15 nov – Nel terzo trimestre l’economia italia è cresciuta più delle aspettative. Secondo le stime Istat il prodotto interno lordo ha registrato una crescita dello “0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,9% nei confronti del terzo trimestre del 2015”, si legge nel comunicato dell’istituto. Valori che sorprendono dato che il consensus degli analisti si fermava, per entrambi, ad uno-due punti decimali in meno. Numeri che permettono di centrare una crescita acquisita, per il 2016, pari allo 0,8%.

Secondo il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, i dati sul Pil “dimostrano che la crescita sta arrivando e anche in modo sostenuto”. Un’esultanza, quella del titolare del dicastero di via XX Settembre, decisamente malriposta. Se guardiamo alla sola variazione trimestrale il (relativo) successo in effetti c’è. In termini di crescita l’Italia è in linea con l’eurozona, sotto la media dell’Ue ma meglio della Germania (di ben 0,1 punti percentuali, un successone) e della Francia, mentre ci staccano di misura sia la Spagna che addirittura la Grecia. Se però allarghiamo l’analisi ad un orizzonte più ampio, come ad esempio sui dodici mesi, ecco che i nodi vengono al pettine. Proprio non c’è confronto: con un misero +0,9% rispetto al periodo luglio-settembre dell’anno scorso siamo penultimi in classifica, battuti solo dalla Lettonia. La Spagna fa quasi quattro volte tanto, la Germania il doppio, la Francia poco più di noi superata anch’essa sempre dalla Grecia. Se estendiamo il raffronto ai paesi appartenenti al G7 il dato diventa ancor più eloquente. E’ il grafico riportato a margine (fonte www.vincitorievinti.com) che rende bene l’idea di dove si trovi la crescita italiana. Nello specifico si evidenzia come la grande crisi sia terminata per tutti nel secondo trimestre del 2009. Sono quindi sette anni che le altre nazioni crescono mentre l’Italia langue. C’è ben poco di cui esser felici, dunque.2-bp_-blogspot-com-wduwst6req0wcs8cslii2iaaaaaaaafcejxcv-jrgqyce9roirlfymvu8qvqlj8ioqclcbs64023-b7aa82bbc8b2e6f117655c5e5b7001e378cb1854

Ma invece Renzi gongola e rilancia l’azione dell’esecutivo: “Con le riforme sale il Pil, senza riforme sale lo spread“, scrive su twitter. Anche qui, il confine fra realtà e propaganda è su una sottile linea rossa varcata a piedi uniti. Perché forse sì, è vero che l’Italia ha bisogno di riforme. Ma il riferimento a quella costituzionale – ormai diventata l’ossessione del governo, che sul referendum punta per la propria esistenza – va completamente fuori strada. Abbiamo impiegato quasi 70 anni per non applicare una serie di punti previsti nella Carta approvata nel 1948, cosa ci fa pensare che con il testo rivisto e corretto dal ministro Boschi la sua concretizzazione procederà più spedita? La Costituzione non è d’altronde legge immediatamente applicabile, richiedendo norme e leggi che ad essa si ispirino. Nella migliore delle ipotesi abbiamo bisogno, dunque, di almeno cinque anni. Ad essere generosi. Ma i tempi dell’economia sono nettamente diversi e hanno a che vedere con il mercato interno, la disoccupazione, la politica industriale e la produzione (calata a settembre, per inciso), le scelte fiscali e tutte quelle misure che toccano la carne viva della realtà. Non le dichiarazioni di principio di una riforma che sembra già vecchia all’origine, visto il dibattito stantìo in corso. E che con lo spread non ha proprio nulla a che vedere.

Filippo Burla

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