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Paulo Dybala: le geometrie di Battiato miste all’Argentina di Kempes

by Lorenzo Cafarchio
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dybalaTorino, 26 feb – “Chiedi chi è Paulo Bruno Exequiel Dybala“, gli Stadio hanno da poche settimane trionfato al Festival di Sanremo, ma nel 1984 invitavano a chiedergli chi fossero i Beatles. Passati oltre 30 anni la Serie A si interroga su “La Joya” il numero 21 juventino venuto dall’Instituto Atlético Central Cordoba, per intenderci la patria di Mario Kempes.

Diego Armando Maradona parlando di Kempes disse che quest’ultimo mise il pallone argentino sulla mappa del calcio mondiale, ora negli anni ’10 “U picciriddu” – così come soprannominato nella sua esperienza palermitana – è pronto a mettere nel cassetto ogni record del passato, per stampare il proprio nome tra quello degli astri sudamericani.

Arrivato a Torino dopo aver guidato il Palermo, insieme a Franco Vazquez, ha trovato la frizione del salto di qualità suscitando critiche e malumori nell’ambiente bianconero. A novembre l’esplosione, lenta ed inesorabile, passata attraverso la trasformazione fisica, con quei chilogrammi di muscoli in più per resistere all’urto delle battaglie ai piani alti.

Eppure la domanda sorge spontanea, chi è Dybala? Sivori, Del Piero, Tévez o Aguero? L’attacco della Juventus nell’estate scorsa ha cambiato tutti i connotati – il solo Alvaro Morata è rimasto alla corte di Massimiliano Allegri – trovandosi con Mandzukic e Zaza come punte centrali, che giocano rivolti verso la porta, lo spagnolo in maglia nove amante della profondità ed infine il calciatore che Maurizio Zamparini non ha esitò a definire il nuovo Messi. Qui entra in gioco il potenziale dell’ex Palermo, parliamo di un attaccante a cui piace decentrarsi, possibilmente a destra per scatenare il suo sinistro attraverso il quale incarnarsi in uomo-assistenza oppure liberarlo per il tiro. Paulo è una prima punta, non ha il bagaglio tecnico da trequartista, ed avendo la capacità di reggere il gioco per vie centrali ha ridato vita agli schemi della scorsa stagione con Bonucci primo play pronto a servire il pallone nella zona mediana del campo e l’argentino collante tra attacco e centrocampo.

Quello che sorprende di Dybala è la facilità di dribbling, mentre Tévez era solito usare il fisico per saltare l’avversario, “La Joya” sfrutta la rapidità di tocco e la velocità, a tratti supersonica, per sbarazzarsi del diretto marcatore. Inoltre ha i tempi giusti per l’inserimento, basta vedere il suo primo goal realizzato in Champions League martedì sera contro il Bayern Monaco – la freddezza tipica di Pippo Inzaghi – che lo porta ad essere complemento perfetto per ogni compagno di reparto. Il sinistro vellutato può far male sia da fermo che in corsa, come la segnatura no-look contro la Roma, disegnando “traiettorie impercettibili codici di geometrie esistenziali” tanto care all’isolano Franco Battiato.

La maturazione dell’estro argentino passerà attraverso il lavoro sul piede destro, dal tocco e sensibilità non ancora da prima fascia, ed il gioco negli spazi stretti per via di un calcio ancorato a sgroppate e contropiedi figlie della pampa albiceleste.

Lorenzo Cafarchio

 

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